lunedì 2 dicembre 2013

Post per Historycast!

Andò più o meno così.

"Ma dove sei?! Perché non guardi il cellulare quando serve?!"
"Stavo facendo ripetizioni, la mia unica fonte di sostentamento. Perché faccio cose e vedo gente, ma quello che paga, alla fine, è sempre il latino (non ci sono classicisti nella mia zona). Poi dicono che le materie umanistiche non ti danno da mangiare".
"Sì sì, va beh. Mentre tu latineggiavi, io guardavo la conferenza di Digitalia. C'era la tipa di Historycast, quella che scrive quei post bellissimi di storia e poi ne fa anche il podcast, così anche chi non sa leggere come me la può ascoltare. SI LAMENTA CHE NESSUNO SI è MAI PROPOSTO DI AIUTARLA! Scrivile!"
"Ma io..."
"NO! ADESSO!"

Mezz'ora dopo.


Insomma, faccio parte della redazione di Historycast (anche se la pagina è ancora in costruzione). Comunque, se non ci credete, oggi hanno pubblicato un mio articolo, su cui mi sono dannata nell'ultimo mese (con un affanno inutile, perché è uscito due settimane più tardi del previsto). Mie le traduzioni, mie le paranoie, non mio il titolo, ecco a voi il mio post su Claudio:

http://www.historycast.net/?p=2930#more-2930

venerdì 22 novembre 2013

We can do this!

è che mi viene da chiedermi come faccio a scrivere sul blog, se ho altro da fare. se ho altro da scrivere (sì, preferisco tenere tutto minuscolo non perché faccia più figo, non fa più figo, fa mentecatto finto adolescenziale, ma preferisco questo allo scrivere la "è" maiuscola con l'apostrofo al posto dell'accento, è una cosa che mi fa venire l'orticaria. sì lo so che si può fare su word e copiare da lì, o che me la posso googlare. non ne ho tempo. non ne ho voglia).

è che ultimamente attraverso fasi di esaltazione e di scoramento. nel mezzo, mi faccio desiderare dicendo spesso "non ho tempo, non posso, non riesco, non esco", non perché sia davvero una tecnica di seduzione, ma perché il più delle volte non ce la faccio. ho scritto un articolo pseudo accademico che mi ha impegnato quasi come il primo capitolo della tesi, ora sono in ambasce finché non me lo leggono e approvano (e pubblicano, grazie mille). vado tutti i giorni in redazione per mezza giornata, ci sono giorni che scrivo un articolo all'ora, riduco e adatto foto, spammo sui social network e vado a conferenze, e altre di calma piatta. continuo a fare ripetizioni al povero francè, che altro che blanka (no, non quello di street fighter, quello di zerocalcare), è proprio un patatone, e meno male che c'è lui perché è l'unico che mi paga. mi propongono di fare i contenuti per un sito, anzi no la social network girl per dei clienti misteriosi, anzi no la copy dell'agenzia, io mi esalto e poi mi spavento subito. le mie giornate continuano ad essere di 24 ore (anzi di meno, contando quanto dormo), rimango indietro con le serie tv, non leggo da secoli ("il marketing 3.0" è un titolo che non mi appassiona. negli spostamenti mi porto dietro sempre il mio fedelissimo ma ingombrante pc che pesa come una carriolata di mattoni e non lascia spazio nemmeno per il kindle, e ho un disperato bisogno di un massaggio alle spalle).

a volte odio la gente. mi infastidisce, e va a finire che lancio occhiate di fuoco a quello che in piscina mi vuole passare davanti, che dò spallate, che impreco neanche tanto a bassa voce.

eppure sono felice, eppure (anche se non sembra) non me ne lamento. sto evitando, al meno per il momento, la sorte dei miei coetanei che, brillantemente laureati, aspettano che gli cada il lavoro dei sogni tra le braccia. e sto evitando anche quella di chi, parimenti brillantemente laureato, ha un lavoro che lo sta rincitrullendo (una mia compagna di corso è stata assunta dal suo liceo fighetto privato. ora su fb pubblica status come quelle prof dei licei fighetti privati che pensano di essere fighe e al passo con i tempi. e invece no. chissà se faceva parte delle condizioni di contratto, la lobotomia). sono in anno sabbatico, insomma.

e poi c'è tumblr che, per parafrasare il nipotino paul, "è pieno di cose meravigliose".

sabato 12 ottobre 2013

Latinisti ubriaconi

Bibit hera bibit herus,
bibit miles bibit clerus,
bibit ille bibit illa,
bibit servus cum ancilla,
bibit velox bibit piger,
bibit albus bibit niger,
bibit constans bibit vagus,
bibit rudis bibit magnus.
Bibit pauper et aegrotus,
bibit exul et ignotus,
bibit puer bibit canus,
bibit praesul et decanus,
bibit soror bibit frater,
bibit anus bibit mater,
bibit ista bibit ille,
bibunt centum bibunt mille.

Carmina Burana

(Bene il padrone, beve la padrona, beve il soldato, beve il prete, beve quello e beve quella, beve il servo con l'ancella, beve il veloce e il pigro, bene il bianco e il negro, beve il costante e l'errante, beve lo stupido e il sapiente. beve il povero e ammalato, beve l'esule e dimenticato, beve il ragazzo, beve l'anziano, beve il vescovo e il decano, beve il fratello, beve la sorella, beve la vecchia, beve la madre, beve questa, beve quello, bevono in cento, bevono in mille)



lunedì 30 settembre 2013

Storie di formazione. La mia prima migliore amica, ultima parte

Facciamola breve. D. ha passato gli ultimi sette anni (o otto, boh)a giocare a fare la fidanzatina in casa, lamentandosi della suocera e, verso la fine, a sbuffare sulla sua dolce metà. In questi anni universitari ci siamo riavvicinate, ci vediamo abbastanza spesso con lei e V. (V. e D. sono poi diventate Migliori Amiche anzi Sorelle, con frequenti e rumorose esternazioni d'affetto) e anche E. (A. no, si è innamorata due anni fa di un assicuratore ed è sparita - notiamo come fra l'altro sia lei ad avere la carriera più brillante (lavora in banca), risultato inversamente proporzionale al successo scolastico, come spesso accade). Lo scorso Febbraio D. si è lasciata col ragazzo (che lei non amava più, a suo dire) e da allora non fa che rimpiangerlo. Una cosa seria, c'è stata una depressione nel mezzo e dottori e uno psichiatra e delle pillole, e scenate isteriche e crisi di pianto e mutismi e insomma, tutte cose discutibili, ma una volta che esprimi la tua contrarietà, cosa ne ricavi?

In un tentativo di farle cambiare aria, o di ricorrere alla vecchia e gloriosa tecnica del "chiodo scaccia (e schiaccia) chiodo", le ho presentato i miei amici, forse anche per distrarla e non farmi più ripetere frasi come "ormai ho quasi venticinque anni, chi mi vorrà più?". Quel che non avevo considerato non era tanto la storiaccia di sesso (se volete il mio parere piuttosto squallido), ma che D. si sarebbe trovata giudicata anche da altre persone. E insomma, tutto questo lunghissimo discorso di tre post per chiudere con l'unica frase importante: MI Dà FASTIDIO. La critico ormai da tempo immemore, certe sue abitudini o modi di pensare mi fanno venire l'orticaria, non capisco perché si vesta da BOTTANA IMPERIALE per uscire la sera al baretto tamarro per bere una cosa io e lei, disprezzo il suo avere più di cento paia di scarpe (e nessuna che costi più di venti euro), mi urta il fatto che urli quando parla, non so se per abitudine o posa, mi imbarazza che giudichi "noi ragazze, che una volta che siamo fidanzate ci vedono solo in pigiamone" (non ho completini intimi sexy. E neanche camicie da notte o pigiami sexy. Li trovo ridicoli. E le mutande sintetiche mi fanno venire la candida solo a pensarci. Nessuno si è mai lamentato per questo, e, a ben pensarci, deve solo provarci), insomma, continuo a emozionarmi più per gli effetti speciali di un film fantasy che per l'ultimo acquisto da Yamamay. Non capisco perché non si dia una svegliata, odio la sua mentalità anni '50 (senza uomo, che donna sei) rivestita da atteggiamenti da femme fatale (ma è inutile che fingi di essere in Sex & the city se dentro sei una Pollyanna). Nonostante tutto questo e tanto altro, però, le voglio bene.

Mi dispiace per lei, mi arrabbio ma alla fine non riesco a non prendere le sue difese di fronte agli altri. Come quando uno critica i tuoi genitori: puoi aver parlato male di loro fino ad un istante prima, ma quando senti qualcun altro che lo fa, ti sembra improvvisamente ingiusto. Le voglio bene, non so se ormai è solo per abitudine, per tutte le volte che siamo state sveglie la notte a chiacchierare e a raccontarci i segreti, per quelle volte che, anche se mi superava di tutta la testa, chiamava me quando non sapeva che fare (come la telefonata in cui scoppiò a piangere: "IO NON CE LA FACCIO PIù"), per i giri in bicicletta del sabato pomeriggio, per le feste di compleanno fatte insieme (siamo nate a una settimana di distanza), per la sua completa fiducia in tutto quel che facevo, il suo credere (tuttora, ormai mi sa che è l'unica) che "un giorno entrerò in libreria e ci sarà il tuo nome su un romanzo nello scaffale dei bestseller", perché quando mi ero lasciata con quello che è a oggi "la mia storia più lunga" aveva organizzato a forza un week end via da tutto, a base di spritz, patatine e vecchie sane abitudini (film e nanna) per tirarmi su il morale, perché ha sempre un pensiero buono per tutti, perché non ce la fa ad essere stronza.

Insomma, chiamatela pure psicotica, ninfomane, pazza, depressa, fuori di testa, oca. Dite pure che è irritante, un po' scema, esagerata, malata di shopping, ossessivo/compulsiva, possessiva, gelosa, matta. Quello che volete, ma non davanti a me. Continuerò a criticarla, ma anche a difenderla. E soprattutto (e nonostante tutto), a volerle bene, e se ne parlate male di fronte a me, è come se faceste del male anche a me.

giovedì 26 settembre 2013

Storie di formazione. La mia prima migliore amica, parte 2 (divagazione)

A dirla così suona brutto e antipatico, tipo che io ero la snob radical chic con aspirazioni nerd che faceva il classico, e lei una deficiente solo perché aveva le tette e si metteva i vestiti attillati. Non è così, ovviamente. D. è sempre stata una persona molto dolce e molto insicura, con la tendenza ad omologarsi un po' a chi le stava intorno (come facciamo tutti, inutile negarlo). Forse se a 14 o 15 anni si fosse trovata circondata dalle stesse persone che frequentavo io, in un ambiente meno attento allo smalto che mettevi (ma molto di più alla musica che ascoltavi e alle idee che avevi - ecco, sto ricascando nel gioco della radical chic), forse ora avrebbe pensieri e abitudini diverse; di certo avrebbe un'altra storia alle spalle, e, forse, altre priorità. O forse no; d'altra parte non c'è motivo per credere che essere follemente innamorata di Legolas a 15 anni sia meglio che scegliere vestiti carini a poco prezzo e uscire con un ragazzo in carne ed ossa (o meglio, io lo credo, ma sono ovviamente di parte). E non è neppure vero che le grandi differenze spuntarono fuori solo alle superiori: mi ricordo che alle medie facevamo lunghissimi discorsi su tutto, e ovviamente anche sul matrimonio, se ci saremmo sposate o meno, con chi (!), e, cosa più importante, come sarebbe stato il nostro vestito. Dopo ore di tulle e sbuffi meringosi, di seta lucida e di avorio (D. e V. sembravano non riuscire a fermarsi), io avevo talebanamente sostenuto che se mai mi fossi sposata l'avrei fatto in jeans (bianchi, ché la tradizione è importante), e in comune. Insomma, già si vedeva che io ambivo a una vita da zitella con tanti gatti, mentre lei, loro, erano più per l'adolescenza da telefilm americano, con la degna conclusione di un matrimonio sontuoso. Altro esempio: alla nostra prof di italiano delle medie (che ho sempre amato, ricambiata, e amo tuttora) piaceva darci temi di fantasia. Uno di questi ci diceva di immaginare la nostra vita 15 anni dopo, o una cosa del genere. D. si vedeva fidanzata e con dei gatti, V. fidanzata con M.G. (il grande amore dei nostri anni verdi, e con verdi mi riferisco al colore del grembiule della classe della scuola materna), che avrebbe fatto il pilota di Formula1. E io? Io ero sola, mentre le mie amiche si sposavano, squattrinata (ma non vivevo più dai miei), e per mantenermi facevo la commessa, anche se poi decidevo di portare i miei misteriosi manoscritti (sottinteso: del grande romanzo del secolo) a un editore (sottinteso: che li avrebbe amati e pubblicati ed io entro breve sarei stata ricca e famosa).

Insomma, che ero una calvinista l'avete capito, andiamo avanti. Ci siamo perse di vista, come spesso accade, abbiamo diradato (direi fisiologicamente) le uscite. La cosa bella però è che non abbiamo mai perso del tutto i contatti, ci sentivamo, raramente ma ci sentivamo, e parlavamo ancora, anche se forse più superficialmente di prima. Poi, verso la fine delle superiori, un po' perché gli anni mi avevano regalato la frivolezza, un po' perché lei si stava allontanando da influenze nefaste, ricominciammo, lentamente, a riallacciare i rapporti, fino a vederci con frequenza settimanale o quasi negli ultimi anni di università. Non saremmo mai più state migliori amiche, ma non ne facevamo un dramma. L'amicizia è anche questo, sapere quando una persona diventa ormai troppo diversa da te, ma volerle bene comunque, rispettando le sue scelte.

sabato 21 settembre 2013

Storie di formazione. La mia prima migliore amica, parte 1

Conosco D. da moltissimi anni. Ci siamo incontrate a scuola, eravamo nella stessa sezione e siamo diventate amiche in fretta, durante le prime settimane di prima elementare. Ricordo anche come: avevo in tasca, o qualcuno (la maestra?) mi aveva dato una caramella che proprio non volevo (non sono mai stata tipo da caramelle) e, più per togliermela di torno che per spirito di generosità, l'avevo offerta a una bambina dall'aria timida ma simpatica, con la treccia lunga e gli occhi piccoli e scuri, che mi stava passando di fianco (in bagno?) in quel momento. Le persone si conosco nei modi più stupidi: e noi eravamo diventate amiche per via di una caramella ("Ciao, senti, la vuoi?" "Davvero?! Grazie, domani te ne porto una io!": non se lo ricordò mai, grazie a Dio, ma da quel pomeriggio cominciammo a parlarci e a trovarci simpatiche, e nel giro di poco tempo eravamo Migliori Amiche).

Eravamo abbastanza simili, allora (minute, magroline, con i capelli scuri, timide, educate e brave a scuola), e c'era una maestra (quella della caramella?) che confondeva sempre i nostri nomi, ma eravamo già a quei tempi molto diverse: lei con i capelli sempre lunghi e ben pettinati, io tagliati dal papà, corti e comodi; io più sicura nonostante le apparenze, lei molto meno, ma io non lo capivo, così come non capivo che eravamo diverse per i genitori e per come ci crescevano. Ci vedevamo tutti i giorni a scuola, sempre il sabato pomeriggio per fare i compiti e giocare, spesso anche la domenica o in altri momenti(ho passato più di un capodanno a casa sua, con i miei e i suoi che ci tenevano impegnate con giochi in scatola fino alla mezzanotte e a me si chiudevano gli occhi), fino alla quinta elementare (quando ormai lei aveva già i primi fidanzatini e io ero ancora una bambina, felice di stare con le mie amiche e i miei libri - nessuno capiva quanto amassi leggere, da bambina, nessuno della mia età almeno. Avere conosciuto poi persone che erano felici di starsene in casa con un libro per ore mi fece improvvisamente sentire meno sola, anche se, obiettivamente, sola non lo ero mai stata - solitaria sì, ma quella è un'altra storia).

Siamo rimaste amiche anche durante le medie: anche lì eravamo in classe insieme, anche lì la prof di italiano ci aveva identificato subito come "le amiche del cuore", ma ormai non ci confondevano più: alla fine della terza media lei mi superava di statura forse di tutta la testa, e portava già il reggiseno (con il patrimonio genetico di una nonna con l'ottava, era doveroso), mentre io ero sempre tra i tre/quattro più bassi della classe, sempre magra, sempre piatta, e sempre con lo sguardo da bambina (poi l'estate leggevo Guerra e Pace, ma, appunto, questa è un'altra storia). Era in classe con noi anche V., che io conoscevo da ancora prima di D., che per fortuna era (ed è) bassa come e più di me, altrimenti mi sarei sentita proprio una nana: passavamo i pomeriggi a casa dell'una o dell'altra, crescendo senza accorgercene, passando le ore a giocare e poi a parlare, parlare, parlare (a casa di V. poi ci facevano fare la merenda con grissini e nutella, che libidine). E. era amica di V., e poi c'era A., e l'insopportabile I., e D. con cui litigavamo ma poi ridevamo, ci dava pizzicotti sul sedere (e io gli tiravo i calci negli stinchi, se lo ricordano ancora tutti), ma questa è un'altra storia e poi le iniziali cominciano ad essere davvero troppe.

Poi, per fortuna forse, ci siamo allontanate. Ci siamo iscritte a scuole diverse, presto abbiamo cominciato a farci nuovi amici e, soprattutto, ad avere interessi diversi. C'è stato un momento, forse in seconda superiore, in cui io cominciavo ad andare in giro con i miei compagni di classe, a sentire i gruppetti di gente della scuola che suonavano (discutibilmente) in posti discutibili; ascoltavo il punk rock e i primi Muse (ma non ancora il metal), studiavo moltissimo ma con piacere, ed ero appena entrata nel tunnel del Signore degli Anelli. Un pomeriggio mi ero trovata con D., come ai vecchi tempi, e lei aveva i jeans elasticizzati e il toppettino che le lasciava la pancia scoperta, una delle prime paia di sandali con la zeppa, mille sciocchezze per la testa, e... non avevamo più argomenti in comune. Non sapevamo cosa dirci, ci trovavamo reciprocamente noiose (lei però è sempre stata troppo carina per dirmelo). Diradammo le uscite, fino a non vederci più o quasi.

lunedì 9 settembre 2013

Luis Sepùlveda, Il partigiano Johnny nella notte di Allende

E pensare che, se avessi aspettato un paio d'ore, o avessi letto prima il giornale, avrei avuto qualcosa di più delle Inutilità di cui scrivere.

*

Luis Sepùlveda, Il partigiano Johnny nella notte di Allende. La Repubblica, 9 settembre 2013


Il giorno più nero della storia del Cile spuntò coperto di nuvole. La primavera alle porte, atterrita dall’orrore che si avvicinava, aveva deciso di negarci i primi tepori. Alle sei del mattino Salvador Allende, il Compagno Presidente, ricevette le prime informazioni sul golpe imminente e diede ordine alla scorta, al Gap, di lasciare la residenza di calle Tomás Moro per raggiungere il palazzo de La Moneda.
Un contingente del Gap – Gruppo di Amici Personali – rimase a garantire la sicurezza della residenza e il resto si mise in marcia armato di kalashnikov. Fra i Gap che uscirono insieme al Compagno Presidente c’erano tre ragazzi molto giovani: Juan Alejandro Vargas Contreras, ventitré anni, studente; Julio Hernán Moreno Pulgar, ventiquattro anni, studente e dipendente del palazzo presidenziale e Óscar Reinaldo Lagos Ríos, ventun anni, studente e operaio in un’azienda agroalimentare. Tutti e tre erano militanti della Federación Juvenil Socialista. E oggi, a quarant’anni dal colpo di stato che ha messo fine al più bel sogno collettivo, voglio parlare di uno di loro, di Óscar, un ragazzo cileno pieno di coraggio e generosità.
Óscar era più giovane di me, ci separavano solo due anni, ma visto quanto era intenso il nostro impegno per la Rivoluzione cilena, visti la dedizione totale e il rigore con cui affrontavamo i mille compiti del Governo Popolare, quei due anni scarsi di differenza mi conferivano una certa anzianità. Anch’io avevo avuto l’onore — il più grande onore che mi sia stato concesso in vita — di far parte del GAP, ma dopo aver trascorso quattro mesi nella scorta del Compagno Presidente ero stato chiamato a maggiori responsabilità. Così, a ventidue anni, mi ero ritrovato supervisore di un’azienda agroalimentare a sud di Santiago. Là avevo conosciuto un giovane socialista che si chiamava Óscar Reinaldo Lagos Ríos e che combinava il suo lavoro di meccanico nell’azienda agroalimentare con gli studi in un istituto industriale e con la militanza socialista. Óscar amava il tornio e la fresatrice. Tra i suoi progetti c’era quello di diventare un buon tornitore, un operaio specializzato. Fin dal primo momento si trasformò nel mio braccio destro e più volte respingemmo insieme gli attacchi del gruppo fascista Patria y Libertad, che voleva assassinare i dirigenti sindacali e incendiare i nostri posti di lavoro.
Spesso Óscar portava a passeggio mio figlio Carlos Lenin, che cominciava allora a camminare, e ogni due o tre giorni prendeva in prestito un libro, un romanzo, una raccolta di poesie, qualche saggio sociopolitico. Un pomeriggio, mentre facevamo il nostro turno di guardia, lo vidi leggere e piangere senza nascondere le lacrime. Stava leggendo La sangre y la esperanza di uno scrittore cileno ormai dimenticato, Nicomedes Guzmán. All’improvviso chiuse il libro, si asciugò gli occhi ed esclamò: «Compagno, ora sì che ho capito perché facciamo la rivoluzione».
Óscar si era sempre distinto come lavoratore, per il senso dell’umorismo che traspariva dalle canzoni degli Iracundos che cantava mentre riparava i macchinari e per l’esemplare solidarietà (era sempre l’ultimo al momento di comprare gli alimenti che trattavamo e che la borghesia si accaparrava per far mancare i rifornimenti), ma si distingueva anche come militante, acuto nelle sue analisi e convincente grazie ad argomenti ancora più acuti. E poiché il GAP era formato dai militanti migliori, un giorno parlai di lui raccomandandolo e ricevetti l’ordine di addestrarlo. Così Óscar imparò a usare un’arma, a pulirla, ricevette i primi rudimenti di difesa personale e di procedure di sicurezza. Quando entrò a far parte del GAP, il più grande onore per un militante, festeggiammo a casa sua, con la sua famiglia umile e generosa. Poi ci perdemmo di vista perché i tanti compiti della Rivoluzione Cilena ci tenevano molto occupati e la giornata era sempre troppo breve, dormivamo poco, ma non perdevamo mai di vista l’importanza di quel che facevamo. Non avevamo diritto né alla stanchezza né allo scoramento. Stavamo costruendo un Paese giusto, fraterno, solidale, seguendo una via cilena, rispettando tutte le libertà e i diritti. E per di più avevamo un leader che ci dava un grande esempio con la sua statura morale.
Un giorno incontrai Óscar a El Cañaveral, una residenza di campagna sulle pendici della cordigliera delle Ande dove il Compagno Presidente andava a riposare. Insieme ad altri due GAP sorvegliava l’ala nord. Ci abbracciammo e quando gli chiesi il nome di battaglia — io ero e continuo a essere Iván per i GAP sopravvissuti — lui rispose: «“Johny”, è quello il mio nome di battaglia, Johny, ma non l’ho scelto io: me l’ha dato il dottor Allende un giorno che mi ha sentito cantare».
Quell’11 settembre 1973, poco prima delle sette di mattina, Salvador Allende e la sua scorta formata da tredici membri del GAP entrarono alla Moneda. Il golpe fascista era iniziato, truppe e carri armati accerchiarono il palazzo, riecheggiarono i primi spari tra difensori e golpisti, le forze aeree bombardarono le antenne delle radio finché ne rimase soltanto una, quella di radio Magallanes, grazie alla quale ascoltammo e avremmo ascoltato le ultime parole del compagno presidente, quel «metallo tranquillo della mia voce».
Con la Moneda assediata, Allende diede ordine di far uscire chiunque lo desiderasse, lui sarebbe rimasto a baluardo della Costituzione e della legalità democratica. In mezzo ai colpi d’arma da fuoco e ai proiettili esplosivi del-l’artiglieria, un pugno di poliziotti socialisti decise di restare, e anche i GAP dissero chiaramente che la guardia non si arrendeva né abbandonava il Compagno Presidente. Fra Allende, i poliziotti rimasti fedeli, il medico del presidente, il giornalista Augusto Olivares e i tredici GAP non erano più di ventidue, ma affrontarono migliaia di soldati golpisti.
Quando era quasi mezzogiorno, le forze aeree bombardarono la Moneda, le fiamme cominciarono a divampare nel palazzo ma il GAP non mollò. Rimane per sempre un’immagine di quel momento: il GAP Antonio Aguirre Vásquez, un patagone eroico, che spara dal balcone principale con la sua mitragliatrice calibro 30 finché le bombe non cancellano completamente la facciata della Moneda. Il simbolo della democrazia cilena, la cosiddetta casa di Toesca bruciava, Allende era morto e Óscar Lagos Ríos, Johny, era stato colpito da due pallottole, ma era ancora vivo. Alle due del pomeriggio, ormai senza più artiglieria, con le munizioni esaurite, i sopravvissuti di quel pugno dipoliziotti e uomini del GAP uscirono dalle macerie e furono immediatamente fatti salire su un camion militare con destinazione ignota. I poliziotti riuscirono a salvarsi la vita, passarono attraverso atroci torture ma sopravvissero. I tredici GAP scomparvero.
In Cile, tuttavia, la terra parla e così è stata scoperta una fossa comune clandestina in un campo militare abbandonato, Fuerte Arteaga, e in quella fossa c’erano più di quattrocento pezzi di ossa umane, alcuni lunghi meno di un centimetro, e quei pezzetti minuscoli hanno raccontato che i tredici GAP erano stati torturati, mutilati, assassinati dalla soldataglia in un’orgia di sangue, durata vari giorni, a cui avevano partecipato ufficiali e truppa del reggimento Tacna. I GAP erano stati sepolti nella caserma, ma quando alcuni testimoni avevano dichiarato di poter indicare il luogo dell’occultamento, i resti degli eroici combattenti della Moneda erano stati trasferiti a Fuerte Arteaga, gettati in una buca profonda dieci metri, fatti saltare in aria con la dinamite e infine coperti di terra.
È impossibile ridurre al silenzio la voce dei combattenti e le loro ossa minuscole hanno rivelato i loro nomi, hanno detto: «Io sono ciò che resta di Óscar Reinaldo Lagos Ríos, ventun anni, nome di battaglia Johny, GAP, assassinato il 13 settembre 1973». Una mattina del 2010, un corteo con in testa tre carri funebri è passato davanti al palazzo della Moneda. A scortarli c’erano uomini e donne di oltre sessant’anni che al braccio sinistro esibivano con orgoglio un nastro rosso con la sigla GAP. Scortavamo Juan Alejandro Vargas Contreras, ventitré anni, Julio Hernán Moreno Pulgar, ventiquattro anni e Óscar, quel Johny che aveva preso il fucile quando bisognava farlo.
nostri compagni oggi riposano nel mausoleo degli eroi, accanto alla tomba del Compagno Presidente. Il GAP non si arrende. Onore e gloria ai combattenti della Moneda. Viva i compagni!


(Traduzione di Ilide Carmignani)

Inutilità

Nel mondo dei blogger fighi le visite si contano a centinaia, in questo sono, per così dire, più... individuali. Uno di questi individui è arrivato fin qui digitando samantha chittolina escort london. Spiegatemi perché.

Ho un sacco di tempo libero, ultimamente ancora di più perché uno dei miei simpatici denti del giudizio ha deciso che stavo avendo troppa vita sociale, e mi ha obbligato a restare a casa gemendo e lamentandomi, e nutrendomi di verdura e frutta frullata. Nonostante tutto questo quantitativo quasi imbarazzante di ore libere, non sto facendo nulla, né scrivendo il romanzo della vita, né facendo cose utili (STOMMMALE!), né elaborando idee geniali. Vegeto tra ricaricare la pagina di Facebook e guardare svogliatamente bloglovin o (in ordine di importanza) il sito degli annunci di lavoro dell'università. In compenso è settembre, mi dicono sia tempo di migrare, io veramente sto bene dove sto, anche se immagino che il limbo dovrà finire prima o poi. Guardo scemenze, leggo cavolate, sfoglio già un po' incredula le foto della Croazia (ma davvero ero ancora in vacanza ignorante un mese fa?), scrivo mail che nessuno leggerà, mi faccio tormentare dal mio telefono, e intanto... attendo. E, colmo delle abiezioni, ascolto i One Direction. Mi fanno sentire gggiovane quando faccio le pulizie, imbarazzante ma vero.


lunedì 26 agosto 2013

Il futuro è adesso

Avevo rimandato più o meno tutto a quella ultima, misteriosa e inarrivabile settimana di agosto, quella del 26. Mandare curricula? La settimana del 26 agosto. Andare a bussare alla porta dei licei privati del circondario? La settimana del 26 agosto. Le ripetizioni prima dell'esame del debito di latino? "Guardi signora, facciamo dalla settimana del 26 che prima sono via. O forse no. Vabbè, comunque non ci sono".

Ed eccoci, alla settimana del 26 agosto. Come sempre, con la prima pioggia dopo Ferragosto (temporale d'agosto rinfresca il bosco, dice mio nonno) viene voglia di settembre. Di comprare un diario e fare la punta alle matite, e fare la scorta di bic e di quaderni pigna nature A4 a righe. Quindi mi dico che quest'anno berrò molta acqua e farò ginnastica e mangerò bene e mi impegnerò nelle cose, sarò puntuale e positiva e piena di voglia di fare, non butterò via tempo e ce la metterò tutta ad essere sempre bella e simpatica e comprensiva e dolce e intelligente e paziente e buona.

Il mondo si affanna e io ho voglia di alzarmi presto la mattina, bere il caffè leggendo il giornale (anche le pagine di economia) e poi FARE COSE. Invece finisce che faccio tardi e vedo gente, e ho la testa che ondeggia felicemente nel nulla. Sono mesi che dovrei scrivere qualcosa, e non lo faccio, e rimando, e mi dico è difficile, poi mi sento in colpa perché sono una fancazzista.

Photo by Annie

Ho passato delle vacanze splendide con i miei amici, compreso il viaggio di andata/ritorno/andata il giorno del Grande Esodo perché qualcuno aveva dimenticato la carta d'identità (come da miglior commedia all'italiana). E ho passato pure giorni di dolce far nulla e convivenza senza drammi, ma come sempre per questo si può attendere e basta.

giovedì 1 agosto 2013

Una bellissima estate. Mi avevano detto così, a inizio maggio: ora sei in vacanza, divertiti. E così è andata, e così sta andando, ché per fortuna siamo ancora prima di Ferragosto, quindi l'estate è appena cominciata. Ci sono state fughe da week end e lunghi giorni senza genitori, grigliate e convivenze, e c'è stata Londra, tre settimane di "Hi, Giulia speaking" al telefono ogni tre minuti, ragazzi cretini e altri che ti scaldano il cuore (quella che piange perché è l'ultimo giorno, quello che ti abbraccia, quello che ti ringrazia, quella che ti scrive su facebook "you're a great leader, thank you, you're awesome!"), genitori deficienti e nuove amicizie.

Domani parto (insieme alla maggioranza degli italiani, pare), finalmente una vacanza al mare come si deve, pochi amici ma ottimi, mi aspetto divertimento ignorante, cazzeggio, sole e bagni infiniti. La valigia la farò all'ultimo perché so già cosa metterci, costumi, magliette, un vestitino e poco altro. E so che quando torno ci sarà qualcuno ad aspettarmi, e poi forse un'altra fuga, e poi basta davvero però, si ricomincia con settembre e la vita vera, che quest'anno sarà particolarmente vera e particolarmente cruda, temo. Per ora non ho paura, godiamoci questi ultimi trenta bellissimi giorni.

martedì 9 luglio 2013

Fragile things, Neil Gaiman

"... the peculiarity of most things we think of as fragile is how tough they truly are. There were tricks we did with eggs, as children, to show how very strong they really were, tiny loadbering marble halls; while the beat of the wings of a butterfly in the right place, we are told, can create a hurricane across an ocean. Hearts may break, but hearts are the toughest of muscles able to pump for a lifetime, seventy times a minute, and scarcely falter along the way. Even dreams, the most delicate and intangible of things, can prove remarkably difficult to kill.
Stories, like people and butterflies and songbirds' eggs and human hearts and dreams, are also fragile things, made up of nothing stronger or more lasting than twenty-six letters and a handful of punctuation marks. Or they are words on the air, composed of sounds and ideas - abstract, invisible, gone once they've been spoken and what could be more frail than that? But some stories, small, simple ones about setting out on adventures or people doing wonders, tales of miracles and monsters, have outlasted all the people who told them, and some of them have outlasted the lands in which they were created" - Neil Gaiman

lunedì 17 giugno 2013

Notte prima degli esami (2013 reloaded version)

La mia notte prima degli esami, quella "canonica" della maturità, è stata nel lontano 2007. Dopo di quella, ne ho avute tante, di notti prima degli esami, per le quali ovviamente non potevo maledire altri se non me stessa.

In questi giorni comincia la maturità, e stanotte io non dormirò, un po' per l'agitazione e un po' per la sveglia antelucana. Ho un aereo alle 7.30 (di mattina), una valigia da preparare, approssimativamente 25,5 adolescemi da tenere a bada, un'orribile polo magenta (FUXIA), un paio di occhiali da sole nuovi e fichissimi (finalmente!) e un devastante taglio di capelli (io non volevo). Tre settimane in cui mi perderò un po' di tutto (due lauree, un matrimonio, un concerto, sole e caldo e frutta), speriamo che ne valga la pena.

London calling, io c'avrei anche un po' di voglia di girarmi dall'altra parte ma ormai è fatta. Non so cosa vorranno dire per me queste tre settimane, ho paura di tuffarmici, ma allo stesso tempo non vedo l'ora di essere lì e vedere che cosa e come saranno, se e come mi cambieranno, cosa succederà.

Forse la barca sta davvero per partire e prendere i winds of destiny (o forse no). Ci risentiamo a luglio.

sabato 8 giugno 2013

"Però è per gioco"

Anno 1991 (o 1992).

Avevo tre anni e andavo alla scuola materna nella classe verde. Avevo già conosciuto la Vi, all'epoca eravamo piccole uguali e già amiche. E avevo già conosciuto M.G., un anno più di me, aria da bad boy, fichissimo. Era il mio grande amore (e anche della Vi. Anche adesso, dopo tutti questi anni, ne parliamo sempre con un sospiro).

"M.B. è proprio il tuo grande amore, eh?"
"Eh, sì, mamma, mi piace tanto"
"Eheh"
"..."
"..."
"Però mamma io lo dico per scherzo. È il mio grande amore per gioco"
"Ahah, ma certo tesoro, certo che è per gioco"

Già da piccola avevo capito tutto.

lunedì 3 giugno 2013

Cuoriciosità

"E allora? Com'è andato il week end romantico?"

Veduta ROMANTICAMENTE medievale. In b/n per sbaglio, non perché sono hipster.

Bene. Abbiamo parlato e parlato e siamo stati in silenzio senza farcelo pesare. Abbiamo mangiato un sacco di focaccia, io ho fatto il bagno in mare due volte, lui mi ha preparato uova e bacon per colazione, io gli ho letto un centinaio di pagine de La casa degli spiriti, siamo stati a letto fino a tardi, abbiamo visto un film "da donne", siamo andati in un posto romanticissimo e medievale abbarbicato su una collina, con le lucciole a illuminare i sentieri. Abbiamo riso e instaurato abitudini.



Mi manca essere single perché non mi è mai pesato. Ho le mie amiche, i miei amici, e fare entrare nella tua vita qualcuno che richiede così tanto tempo non è facile. Mi sembra strano, e mi fa un po' paura, dire che sono "impegnata", che "ho il ragazzo". Ma mi mancherebbe di più Ser Gi Gi, a conti fatti. Come disse qualcuna, "godiamoci la luna di miele, finché dura".

Non è che non sono ROMANTICA, è che le cose belle a parlarne le rovini.

martedì 28 maggio 2013

Maggembre

Nonostante le occhiate di sole e le giornate splendenti che inducono a false speranze. Nonostante la breve parentesi di sole e caldo (e costume e sdraio in giardino) dei giorni della mia laurea, dalla discussione alla festa. Nonostante avessi tirato fuori le infradito. Nonostante il calendario. Inutile negarlo: siamo a Novembre. Ancora. In effetti, siamo a Novembre da tipo sette mesi, con forse una interruzione per Dicembre e Gennaio. Gli altri mesi sono stati tutti un ibrido con l'autunno più crudele e l'inverno più grigio. Perché l'inverno è arrivato, e, come insegna Martin, non è che se ne vada via nel giro di qualche mese. Ed è così che ci troviamo a vivere in questo mostro geneticamente modificato, Maggio di nome e Novembre di fatto. Maggembre, appunto.

(E se fosse per questo autunno/inverno prolungato che io mi innamoro?)(Ho sempre un po' timore a parlare delle cose belle, finisci per rovinarle)

Il diciotto giugno parto per Londra, tre settimane non a divertirmi ma a vegliare amorevolmente su un gruppo di "adolescemi" (mi dicono si chiamino così) che avranno l'ormone a mille e parleranno inglese meglio di me, e che io non saprò controllare. Io, con la mia attitudine a perdermi, e soprattutto con una enorme POLO (che già fa schifo) MAGENTA (che poi è FUXIA).

Nel frattempo faccio cose, vedo gente. Libera e felice, e con sempre mille domande e mille dubbi.

mercoledì 8 maggio 2013

Yes, I'm gonna wiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin!

Me la canticchiavo in testa prima di aprire QUELLA PORTA (sì, compresi gli acuti, i coretti e le parti strumentali).


Poi la campanella, entrare un po' incerta sulle gambe, il discorso che all'improvviso gira davvero, le domande di cui SO le risposte. Ed è tutto lì, stringere mani, un sorriso, un "complimenti" sussurrato, genitoricompagnidiuniamici (e Ser Gi Gi che compare dietro la porta). Un sacco di foto di me con facce assurde, la bruttura del sorriso ebete congelato. Grazie winter friends.

domenica 21 aprile 2013

Spiralling


(Per chi se lo chiedesse, no, poi Ser Gi Gi non mi ha deluso).
*
Negli ultimi mesi non mi sembra di aver fatto altro che aspettare. Il giorno del ricevimento, che arrivasse sera, che si facesse mattina, il fine settimana, il lunedì, una mail, che succedesse qualcosa.
I'm waiting for my moment to comeI'm waiting for the movie to beginI'm waiting for a revelationI'm waiting for someone to count me in

Ormai è da un mese che sono in vacanza, invece. Continuo ad aspettare ma con il cuore più leggero (risposte, messaggi, telefonate). Da domani comincerò ad aspettare con un po' più di batticuore, tra due settimane mi laureo e devo ancora fare (quasi) tutto, a partire dalla stampa fino a quel maledetto discorso che se vado avanti a braccio mi porta via almeno 20 minuti, e chi lo avrebbe detto?

'Cause now I only see my dreams, in everything I touchFeel their cold hands on everything that I loveCold like some magnificent skylineOut of my reach but always in my eye line now

Nel frattempo ci sono le aspirazioni e i sogni e le idee arroganti. Vedremo.


(Nel frattempo ci sono anche tutte le premesse per una cotta primaverile, con tanto di inappetenza e luci negli occhi. Vedremo anche per questo).

Ooh, when we fall in loveWe're just fallingOoh, in love with ourselvesWe're spiralling

La parte più bella di Spiralling però sono le domande, retoriche come da miglior tradizione (musica random, la migliore occasione di introspezione sin dai tempi dei primi lettori mp3). Poi se il risultato sia disperazione o energia, quello temo dipenda proprio solo da noi.


Did you wanna be a winner?Did you wanna be an icon?Did you wanna be famous?Did you wanna be the president?
Did you wanna start a war?Did you wanna have a family?Did you wanna be in love?DID YOU WANNA BE IN LOVE?

mercoledì 17 aprile 2013

"È un aprile molto bello questo", postilla con domande

Perché tutti io gli insicuri? I paranoici? I complessati?

Li attiro? Mi piacciono? Cosa faccio per meritarmeli? Perché li preferisco agli altri? Qual è, di preciso, il loro fascino? E qual è il mio fascino ai loro occhi? Sono materna? Gli ricordo la loro prof delle medie? Gli piaccio quando pronuncio la parola "fallo" senza il minimo imbarazzo e in tono del tutto scientifico (grazie, studi classici)? Li "metto in soggezione" (cit.) e pensano che io possa risolvere ogni male?

Non mi deludere, Ser Gi Gi.

martedì 16 aprile 2013

È un aprile molto bello questo. Io trabocco, finalmente ho una data per la laurea ancora sufficientemente lontana per non preoccuparmi di nulla, finalmente è uscito il sole. Sono settimane in cui esco tutte le sere o quasi, in cui mi chiamano per i colloqui e mi prendono pure. In cui conosco uno a una festa robbosa di matrimonio e mi chiede di uscire. E io ci esco pure.

Attribuisco punti in base alla personale nerdaggine ("ha colto le allusioni a Star Wars, guarda Game of Thrones, ha amato Harry Potter, ammette che Orgoglio e Pregiudizio gli è piaciuto"), cerco di non sbilanciarmi troppo, anche se poi mi intenerisco per delle sciocchezze e mi arrabbio perché va sempre a finire che me li cerco problematici e complessati. Io vorrei uscire con Nate Archibald, non si può? Per fortuna che mi innamoro sempre in autunno e mai in primavera, ma siano comunque benedetti gli ormoni primaverili.

lunedì 1 aprile 2013

I Proci

Va così: o nemmeno un Ulisse da aspettare, o troppi Proci (mai uno solo) da intrattenere.

Che io faccio fatica a relazionarmi con una persona per volta, già due sono una follia (figuriamoci tre).
Di solito finisce che tutto esplode in una bolla di sapone di nulla.
Oppure che si fa (= io faccio) la scelta peggiore.

Grazie a "la mia amica alta, magra, bella e con i capelli lunghi fino alle spalle" che era con me al "matrimonio robboso" di sabato scorso per la definizione (cuoricino).

*

Happy Easter of Thrones!

venerdì 22 marzo 2013

Storia di una Canzone, per Radio Popolare!

Ci sono periodi in cui va tutto storto.
E ci sono giorni in cui si concentrano tante cose belle, che prese singolarmente non ci fai caso, poi ti giri a guardarle e comincia la tachicardia e il gonfiarsi dell'ego in modo spasmodico. In questa settimana per esempio c'è stato Il Mio Primo Vero Colloquio in cui non mi sembrava di avere niente da invidiare alle "rivali" appena uscite da Cattolica e IULM, Comunicazione e Robacosì.
Ma soprattutto, oggi ho avuto l'onore di essere contattata da Niccolò Vecchia per una trasmissione su Radio Popolare: ho balbettato in diretta, ho ridacchiato imbarazzata, e lui ha letto, benissimo, un mio racconto che avevo scritto tempo fa, quando ancora arrancavo sul capitolo delle fonti della tesi e mi sembrava che non avrei mai finito, e quando, soprattutto, mi sembrava di vedere tutto un po' grigio.

Per me Radio Popolare è sia mito che presenza quotidiana: è prima di tutto ottima informazione, ma è anche l'unica radio che ascoltano i miei. È il giornale radio che ti fa compagnia a colazione o a cena, è gli annunci assurdi di Passatel a pranzo, le mitiche radiocronache dei mondiali o degli europei (mi ricordo l'anno scorso mentre li ascoltavo in streaming dal computer piangendo dal ridere, mentre i vicini del piano di sotto, quelli noti per "organizzare feste dove far bere le ragazze" rumoreggiavano anticipando la radiocronaca che ascoltavo io, perché seguivano le partite in diretta tv); leggere in una mail apparentemente innocua "sì, mi piace il tuo racconto, vorrei leggerlo a Sonica" (per la rubrica Storia di una Canzone) sarebbe stata una soddisfazione incredibile anche se non fossi l'egocentrica megalomane che sono; sentire lette le mie parole (ripeto, benissimo, comprese le tre g di gggiovani), parole che alla fine non sono tanto diverse da quelle che si ammonticchiano qui fra un disegno e una citazione, me le ha fatte sentire più vere, più possibili, meno imbarazzanti nonostante tutta la retorica e la fuffa e l'aria fritta che sono tanto brava a condire; il supporto via sms, whatsapp e Facebook dei miei amici ha reso solo il tutto più divertente (comunque sì, ero nervosa come prima di un esame o quasi mentre aspettavo la telefonata!).

(Non potevo non parlare della mia Lausanne, e forse era tutto già nato un po' qui e sicuramente qui. E una volta pensata alla canzone, le parole non potevano che venire fuori così, una dopo l'altra, proprio in quell'ordine lì) (e diciamo che è pure andata bene, perché il mio anno di Erasmus è stato pure l'anno di Ai Se Eu Te Pego)


We’re young è stata un po’ la mia colonna sonora personale del secondo semestre di Erasmus. Non era tanto questione di sentirla o ascoltarla spesso. Piuttosto (e mi rendo conto che sto per dire qualcosa di assurdo e imbarazzante), mi sembrava che risuonasse in ogni singolo passo che facevo la sera mentre tornavo a casa. Nell’aria calda di maggio, nel profumo del biancospino, nelle chiacchiere ai tavolini del bar dell’università, o seduti su una scalinata del centro a bere birra e ridere dei rispettivi accenti.

Non so come mai proprio questa canzone sia diventata quasi un simbolo di quegli ultimi mesi in una città straniera che era diventata la mia. Ma nei primi sette secondi, un’intro brevissima di sola batteria, io risento l’attesa piena di aspettative che si respira solo quando si vive in un posto che è ancora nuovo, ancora da scoprire, ancora da esplorare, quando ogni giorno può regalarti una sorpresa, e un incontro casuale diventare amicizia. Nella voce chiara e pulita che canta le prime parole, rivivo la sensazione assordante della consapevolezza di assoluta libertà (e nel racconto di una storia d’amore che non è andata a finir bene, riascolto, come tutti, insuccessi e occasioni sprecate). Nel ritornello enfatico cantato a squarciagola in coro, come un inno, l’unica cosa a cui penso è l’esaltazione di quando ci si rende conto che tutto è possibile, che ogni istante offre possibilità che solo tu sei in grado di cogliere (e allora perché non cantare, perché non ridere forte, ballare e avere il coraggio di buttarsi, di provare quella sensazione di paura e adrenalina di quando ti tuffi dal trampolino più alto?)

Questa stupida, sciocca canzone (costruita di proposito per risultare coinvolgente, favorire l’immedesimazione, essere amata dai gggiovani) è come uno di quei dolcetti nemmeno tanto buoni che sono stati resi celebri da Proust. Mi basta ascoltarla per caso, inaspettatamente, e rivedo la me che si prepara a uscire, nel mio studiò dalla tenda blu lasciata da un precedente proprietario. Mi ricordo la fine dei corsi, una serata di giugno, farsi belle e andare a ballare con due amiche, anche se è mercoledì, anche se non vado mai a ballare, perché non lo so fare, perché mi sento ridicola, perché non è da me. È come se fossi tornata a casa a piedi solo la notte scorsa, stanca ma felice, mentre il cielo si fa sempre più chiaro e i primi lavoratori mattinieri sono già in macchina a guardare con un sentimento misto di disprezzo e invidia quelle due ragazze, sicuramente studentesse, sicuramente sfaticate, sicuramente straniere, che se la prendono comoda a rientrare, godendosi il primo giorno di libertà dalle lezioni, respirando a pieni polmoni aria di libertà (un misto di mattinata di giugno, pane fresco e gas di scarico) e chiacchierando delle aspettative sul futuro, di progetti e aspirazioni, sempre sul punto di essere infrante eppure miracolosamente ancora integre.

Perché forse, a volte, abbiamo solo bisogno di qualcuno che ci ricordi che siamo giovani, e che possiamo bruciare il mondo (che poi lo diceva anche Cecco Angiolieri, non è certo qualcosa di originale. Ma non per questo è meno bello). Anche se non abbiamo più sedici anni, anche se siamo (quasi) adulti e (quasi) laureati e (quasi) responsabili. C’è sempre una piccola parte di noi che si sente totalmente irresponsabile e sciocca, che si prende cotte-lampo di cui si dimentica dopo due ore, e che coltiva progetti al di fuori della realtà. Ed è a questa piccola parte anarchica che dobbiamo le nostre idee geniali, i momenti di benedetta leggerezza, e gli aneddoti più belli da raccontare.



Aggiornamento
Siamo al 2 Aprile, e il blog di Sonica è finalmente aggiornato! Qui trovate l'audio con la splendida lettura del conduttore!


lunedì 18 marzo 2013

Perplessità e fastidio (e soddisfazioni ed esaltazioni)

Fra cinque giorni si sposa una mia amica del liceo. Eravamo piuttosto unite ai tempi, e anche se ormai non la vedo (né sento) da almeno un paio d'anni, mi è comunque arrivato l'invito per il dopo matrimonio. Su Facebook. Una settimana fa. Quindi ho due opzioni davanti a me: andare (convincendo le mie amiche poco propense) ed esordire con un oh ma ciao che mi racconti di bello? Beh ti sei sposata vedo, congratulazioni... e poi?, oppure non andare, facendo un po' la cafona ma salvandomi il sabato sera. (Che poi, ci sono due cose belle delle feste di matrimonio: l'open bar - o nell'alternativa, mangiebevi a volontà - e i vestiti. E tu, che sei la prima a sposarsi, che dai il via a un decennio di sofferenze e cerimonie e lanci del bouquet e abiti da sposa noiosi e tacchi alti e tartine e marce nuziali e chiesaocomune? e partecipazioni e bomboniere e liste nozze, TU organizzi un after party in un circolo arci. Ingresso solo con tessera, e bevande a prezzo politico. Quindi, niente vestiti fighi, e niente open bar) (come ci si veste per un matrimonio del genere?)

Pensiamo alle cose belle. La tesi consegnata, la voglia di vacanze, le infinite (o nulle) possibilità. Venerdì andare a Torino a vedere gli i.i. e Morgane, un pezzo di Erasmus in terra italiana (e prendere tanto, tantissimo freddo). E poi una bella mail ricevuta, e un bel libro da leggere in pace, e reindossare il costume di Meera, e l'Oscura Torta alla Guinness finalmente sperimentata (e mangiata).

Epperò questo è anche un post di fastidio. Non sono mai stata quella che attira le attenzioni dei ragazzi, quella per cui un tipo sconosciuto attraversa la sala o offre da bere o porta borse pesanti, né mi posso immedesimare con Rossella O'Hara che flirtava a decine alla volta, e grazie a dio, perché risulterei estremamente incapace. Non conosco l'infinita serie di mossette, di no che vogliono dire sì, di sorrisini allusivi che però non si spingono mai troppo in là. Le invidio moltissimo, queste ragazze che sanno sempre cosa dire e cosa fare, e che comunque vada risultano sempre adorabili. E nel contempo non capisco perché TU, amica mia che ci conosciamo dalla prima elementare che che hai tanti difetti che non mi impediscono di volerti bene, debba giocare così con un poveraccio che non ha altra colpa se non provarci con te. Non capisco il perché della tempesta di messaggini adolescenziali, di emoticon che fanno l'occhiolino, di risatine, di finte lamentele sulla falsariga del tumitrascuri, del sìvorreiuscireconteperòsaièunmomentodifficile, a meno che non si rientri nell'odiosa categoria del "farla annusare ma non darla", che fino a questo momento pensavo fosse mitologica o quasi.

In tutto questo, domani ho il mio Primo Vero Colloquio (fuffa) per uno stage (fuffa), quindi a sto punto chissene delle pare adolescenziali altrui, e anche di come vestirsi per un matrimonio all'arci, ho cose più serie a cui pensare (davvero?!).

venerdì 1 marzo 2013

Septimana horribilis

Sì, è stata una settimana orribile (e siamo a venerdì, per dire, c'è persino il tempo per far peggiorare le cose).

Lunedì, secondo giorno di elezioni, gli italiani vanno ai seggi e per una sorta di arcano maleficio tantissimi, troppi, continuano a votare PDL e Lega.

E sì che nonostante i cattivi auspici la domenica era cominciata bene, era una bella giornata, nevicava, Michele Serra scriveva un'Amaca piena di buon umore:


Amici mi telefonano in fibrillazione, altri angosciati, "se vince il Bugiardo io questa volta espatrio davvero", "se vince il Matto va a catafascio il paese", "se vince Bersani tanto poi non può governare", "su due elettori uno è un imbecille certificato", "la gente vota col portafogli o con la pancia, mai col cervello", "la zia di mia moglie è una nazista", e tutto il repertorio, ragionevole ma lugubre, sulla democrazia ammalata.
Io invece, per motivi certamente irragionevoli, ma immutati nei decenni, vado a votare sempre di buon umore. Ho perso quasi tutte le elezioni dal 1974 a oggi, e dunque dovrei avere maturato, a proposito del voto, una radicata ostilità. Ma ci ricasco ogni volta, e ci ricasco volentieri, vado al seggio carico di rispetto e di fiducia, se incontro la zia nazista del mio amico la saluto e non mi sembra neanche così nazista, forse è il mio amico che è paranoico. Dove voto io sta nevicando forte, e la neve, a patto che uno non dia retta ai telegiornali che ne parlano come di una piaga biblica, mi mette di buon umore. Andrò a votare con il berretto di lana.
Credo che abbia ragione quel mio amico: "Su due elettori, uno è un imbecille", e quello imbecille sono io.

Lunedì sera si è poi scoperto che gli imbecilli, per una volta, non eravamo noi che "che bello andiamo a votare, anche se non mi hanno chiamata a scrutinare sono contenta lo stesso, sembra sempre un po' una festa", ma erano proprio quegli altri, che però chissà chi sono.

Martedì e mercoledì infatti i pidiellini risultano ancora sconosciuti (ma devono essere qui, da qualche parte... insomma, l'han pur votato, no? A momenti addirittura vincevano!), mentre i grillini fan la voce grossa (qualcuno mi spieghi perché "Movimento a 5 stelle", e vi prego ditemi che non c'entra con la categoria degli alberghi, vi prego), alcuni si improvvisano poeti anche se non dovrebbero (un mio contatto Facebook già lunedì sera scriveva "E se stasera alzando gli occhi... vedeste le stelle?"), altri son giustamente esaltati, tutti sembrano ignorare quanto risulti inquietante il loro guru. La cosa divertente è che il PD effettivamente vince, anche se di pochissimo, e guadagna anzi una maggioranza più netta grazie alla legge "porcata" (secondo la definizione del suo ideatore), fatta dallo schieramento opposto per auto-favorirsi. La cosa tragica è che in Lombardia vince MARONI, l'incarnazione del brutto e del marcio della politica, contro quella che doveva essere la sua nemesi, il pulito, corretto, civile Ambrosoli.

Giovedì, trovo un capello bianco. Proprio bianco, non biondino o molto fine. Bianco, grosso, crespo. Sono già vecchia prima ancora di essere stata giovane. Questo d'altra parte è l'anno dei 25, l'anno in cui si dovrebbe cominciare a mettere la crema antirughe, incontrare l'uomo della propria vita, mettere la testa a posto, sistemarsi, responsabilizzarsi... Io mi sento meno responsabile che mai, ho voglia di tutto men che di sistemarmi, non penso incontrerò l'uomo della mia vita, e sarei comunque troppo giovane (dentro, a questo punto) per pensare a matrimoniconvivenze (come invece cominciano a fare i miei coetanei, ma che gli prende?!), e men che meno a figliare. Non ho comprato la crema antirughe e ignorerò il capello bianco (e se ce ne fossero altri?!), mia madre in fondo non sembra così vecchia  e non si è mai curata... (ma si è fatta grasse risate quando le ho detto della mia scoperta e poi per la prima volta nella vita mi ha guardato con compassione, sarà l'università che fa invecchiare precocemente).

Dunque, per tirare le somme: invecchiata prima di sembrare adulta, prigioniera di un paese da operetta (io ho anche firmato qui, pur sapendo che probabilmente non servirà a nulla), e devo pure riscrivere le conclusioni della tesi, mentre intorno a me la gente chiede "...ma dato che sei ANCORA single, vuoi che ti presenti qualcuno?" "...cosa vuol dire, che il tuo ragazzo ideale deve saper fare buon uso della punteggiatura?" "guarda che sei troppo esigente. Non ti stupire se finisci zitella".

Angoscia.

lunedì 11 febbraio 2013

Cuoricini (ennesimo post disconnesso)

Ci sono due tipi di ragazze (concedetemi il termine, siamo tutte un po' ragazze, dalla bambina di dieci anni che già si vede grande alla nonna un po' svampita. D'altra parte, la mia voce interiore, con cui dialogo e monologo sin da quando mi ricordi, è sempre stata la stessa - e probabilmente sempre lo sarà, e continuerà a definirmi ragazza): quelle che sono felici solo con un uomo; e quelle che sono felici o infelici, ma che lo sono da sole, senza aver bisogno di un qualcuno al proprio fianco per esserlo.

Grazie a dio conoscevo a memoria la parte più importante di Piccole Donne ancora prima di leggere la versione originale.

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Parentesi: uomini indegni, per me potete anche esistere e prosperare, ma fate attenzione a chi fate soffrire. La rivincita, per noi, arriva sempre (non penso di essere stata così arrabbiata neppure quando la cosa mi toccava in prima persona. Ho scoperto di essere un'amica vendicativa).

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Ma nonostante l'acidità che mi contraddistingue (è stato detto di me: sei come uno yogurt al limone), che lo si voglia o no questa è la settimana di S. Valentino (festa orribile con cui però ho fatto la pace l'anno scorso al grido di ogni occasione è buona per brindare e magnare), e questo è un blog frivolo. Quindi, non aspettatevi analisi fantapolitiche sulle dimissioni del Papa (secondo me ha fatto bene, è un uomo anche lui, contrariamente a quello che pensano altri. Mi scoccia solo per il momento - che ti dimetti a fare ORA che poi la gente non parla d'altro, e intanto scopro dalla radio mentre faccio colazione che persone intervistate a caso neppure sanno chi siano i candidati alle elezioni, e c'è anche chi dice "eh non so, non m'intendo di politica, ne deve parlare con mio marito". Per la serie, e io che pensavo che vestirmi da Stepford Wife a Carnevale fosse un'idea originale perché assurda). Oggi, cuoricini (e immagini varie pescate in giro, senza alcuna pretesa di nessi logici).







by Marisa Seguin

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E video:

Post-it love (vuole essere tenero, ma finisce per risultare un po' creepy)




Paperman (ormai abusatissimo)



Invention of love (tristerrimo)


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Diario delle cose belle: la mia prof delle medie che mi dice "aspetto di vedere qualcosa pubblicato da te, col tuo nome sopra!"; una festa in maschera; le frittelle; la neve; l'autostima.