martedì 27 dicembre 2011

Illuminazioni e buoni propositi

Come da tradizione, anche questo Natale (S. Stefano, per la precisione - e un po' di variatio) mi ha portato il mio bel mal di gola e la mia febbre alta, scardinando tutti i vari piani di uscite e vita sociale.

Ma sono a casa, la mia bella casa   s p a z i o s a   e italiana. Non mi sembra vero di essere qui, come non mi sembra vero di aver passato gli ultimi tre mesi in compagnia di gente mai vista prima, parlando in modo buffo (leggi: mettendo gli accenti in fine parola e facendo i gargarismi ogni volta che si presentasse la necessità di dire R), e abitando in un grigio palazzo con vista strada.

La fine del semestre a Lausanne è stata grandiosa: gli esami sono andati bene, e, mentre gli ii (ingegneri italiani) vivevano preda dell'ansia per i loro millemila progetti, io saltellavo da una festa all'altra, andando ai corsi la mattina e riposandomi il pomeriggio.

Era prevedibile che tutto questo mi desse alla testa.

Ed è per questo che io vi dico: mai, mai, MAI fare feste e bere la sera prima della partenza. E MAI lasciarsi persuadere che "une bière vaut deux tartines", perché non è vero. In questo modo, si potrebbe evitare:

- di sentirsi più stupide di una quindicenne stupida alla sua prima festa.
- di seguire l'ultima giornata di lezione con poche ore di sonno, poco cibo (non mangi dal mezzogiorno precedente, eccettuate delle patatine), poca voglia, e molta confusione.
- di essere allegramente presa in giro dagli ii, che giustamente meditano vendetta per il tuo fancazzismo.
- di farti venire la malinconia soltanto perché piove.
- di aspettare in stazione, col magone, canticchiando i Baustelle.

Tutto questo, ovviamente, rientra nei miei buoni propositi per l'anno nuovo. Fra i quali, ovviamente, c'è di continuare ad essere "la donna di ghiaccio", perché è molto più facile e divertente.

*

Per il resto, qui non c'è neve, ma tanta luce (come vogliono gli stereotipi). E, come ha detto LaD., a fine serata: "non mi sembra neanche che tu sia mai andata via!". E questa è la cosa più importante (cuoricino).

martedì 20 dicembre 2011

Tout encourage encore la jeune fille à attendre du "prince charmant" fortune et bonheur plutôt qu'à en tenter seule la difficile et incertaine conquête.


Simone de Beauvoir, Le deuxième sexe (1949)


giovedì 15 dicembre 2011

+3 mesi, -1 settimana

A una settimana dal rientro (temporaneo), e dopo tre mesi (e un giorno), di ritorno dall'università col vento che mi porta via l'ombrello e mi mozza il respiro, posso dirlo.

Posso dirlo, che quando dico chez moi ormai dico casa.

Sarà divertente (o strano, o anche solo interessante) vedere come vivrò questo sdoppiamento della casa quando sarà tornata a casa (casa italiana), e poi quando ritornerò qui.

And my friends are all abroad, many more of them live next door.


*


E per l'amata rubrica gli aforismi di nuvolabarocca, ecco la perla del giorno di oggi, che è bello avere qualcosa da aspettare (lo dice anche Jane Austen), ma è vero che a volte watched pot never boils. E altre volte non bisognerebbe aspettare e basta.

*

Che poi, perché mi sono messa ad ascoltare i Baustelle?

domenica 11 dicembre 2011

Nuvole e luce

Parte prima. Il cielo azzurro di Dicembre.
Tranquillità (o quasi) dopo (o quasi) gli esami e i seminari. Insomma, ho ancora un esame di francese da affrontare, e probabilmente un seminario da sistemare, ma il grosso è fatto. Dicembre è cominciato con la pioggia ma ora c'è il sole, posso darmi al dolce far nulla domenicale senza sensi di colpa, dormire un po' di più, guardare un film, andare a bere un ottimo tè al gelsomino, darmi alle pulizie intensive, cucinare vagonate di risotto, fare indolenti programmi per le vacanze.

Parte seconda. Venerdì sera (o anche: fomentiamoci).
Stupidi maschi. Io vi odio, davvero. Anzi, mi esasperate. Quello che odio davvero è il vostro egocentrismo, il vostro narcisismo, la vostra supponenza e il vostro vittimismo. Compatisco la vostra mancanza di orgoglio, e la vostra spocchia  m i  d à  s u i  n e r v i.

Piccola premessa #1
Quest'estate M. mi aveva presentato un suo amico. Non è mia abitudine sbattere sul blog le mie peripezie sentimentali e le paranoie psico-amorose: non sono così esibizionista, e chi legge mi conosce: rischio o una figuraccia (anche se questo blog dovrebbero leggerlo solo persone fidate), o di ripetere cose che già ben sanno. Comunque, dopo diversi stadi di incertezza e infatuazione e ancora incertezza ci eravamo rifugiati nel "vediamo come va". Passa un mese di Erasmus o poco più, e lui sparisce senza una parola. Come mi è stato fatto notare, probabilmente è colpa mia: della mia freddezza, del mio scetticismo, del mio cinismo. Continuo a pensare che rispondere a una mail sarebbe stato un gesto carino, ma non posso obbligare nessuno a essere gentile nei miei confronti se dopotutto non me lo merito. E forse è meglio così.

Ma non è lui, ilragazzotroppotimido (shallallallallà), l'oggetto delle mie precedenti invettive. Questa "storia", piuttosto, mi ha forse mostrato che non ho la testa per certecose ora, e che, contrariamente a quanto dicono le commedie hollywoodiane, mi va bene così.

Piccola premessa #2
Secondo la vulgata dello studente straniero, non è facile fare amicizia con gli svizzeri. Sono gentili, per lo più simpatici, ma piuttosto chiusi. Non verranno mai da te per conoscerti, sta a te fare il primo passo, non solo la prima volta ma anche la seconda e la terza. Questioni di abitudini e carattere (personalmente, non mi sembra un difetto orribile, anzi, penso di comportarmi spesso così io stessa - questo ovviamente non facilita la nascita di grandi amicizie con gli indigeni). Così, quando uno di loro ti rivolge spontaneamente la parola e cerca evidentemente di fare amicizia, e tu sei l'unica straniera e l'unica Erasmus del corso, beh, ti fa piacere.

In realtà, il dubbio che ci stia provando ti viene abbastanza presto.

Lo svizzero però è gentile, piuttosto simpatico, e non ci prova spudoratamente né palesemente; di certo non puoi smettere di parlargli, e nemmeno vuoi: io mi sono attenuta a un comportamento amichevole ma non ambiguo, ripromettendomi di chiarire esplicitamente al primo segnale di pericolo.

(Ok, forse pericolo è eccessivo. Ma: "non ho la testa per certecose ora, e che, contrariamente a quanto dicono le commedie hollywoodiane, mi va bene così", dixi. E soprattutto, dopo averci ben pensato: non con lui!).

E così, quando con molto imbarazzo mi trovo a dover ricorrere alla famosa espressione: "ma... è un'uscita tra amici, vero?!", mi vergogno un po', ma ne sono convinta, e mi sembra di fare la cosa giusta. Non voglio fare la stronza, e a che pro, poi?

Quello che non mi aspetto è una scena da primadonna, una tragedia con tutti i cliché del miopassatochemihafattosoffrire, e in cui più o meno mi viene dato dell'insensibile, che contemporaneamente si crede così figa che tutti le vogliono chiedere di uscire, e che non si rende conto di calpestare il cuore che così generosamente le viene offerto.

Bene, caro svizzero, ecco qua la lista di cose che non mi piacciono di te, per le quali NON usciremo MAI insieme in QUEL senso.

- NON si parla della ex a una ragazza con cui vuoi uscire. Non con una frequenza così inquietante. Perché, se a lei interessi, rischi di scoraggiarla o di ferirla (ci pensa ancora, a LEI), oppure, come nel mio caso, risulti solo patetico.
- NON toccarmi. Mi dà fastidio. NON ho bisogno che tu mi dia spintarelle per farmi spostare/passare dalle porte/salire gradini. Avete presente Ginny che inveisce contro Dean? Posso farcela da sola, grazie. Se proprio vuoi fare il cavaliere, aprimi la porta, cedemi il passo, portami le borse, offrimi il caffè: tutto questo va benissimo, ma NON TOCCARMI.
- Cerca di parlarmi anche in presenza di altre persone. Non hai più dodici anni, accidenti. Apprezzo il fatto che tu non mi stia addosso, ma siamo in 15 in una minuscola classe: puoi anche rivolgermi la parola. Non farlo soltanto dopo che sono stata io a salutarti e i tuoi amici se ne sono andati (e sinceramente, leggere ogni sera un messaggio che dice "scusa, volevo chiacchierare un po', ma A./D./XY aveva assolutamente bisogno di dirmi una cosa/mi ha tenuto a parlare/scuseacaso" alla quinta volta è davvero ridicolo).
- non correggermi compulsivamente mentre parlo o scrivo. Va bene, te l'ho chiesto io, e tu mi chiedi ossessivamente se mi dà fastidio. Non mi dà fastidio, anzi, è un ottimo modo per imparare. Però certe cose te le puoi risparmiare.
- non forzarmi a discutere di problemi sentimentali sulla chat di Facebook. Anche perché il tuo uso dei puntini potrebbe farmi venire l'orticaria.

E soprattutto, dopo LA frase ("ma... è un'uscita tra amici, vero?!", dixi), abbi un po' di orgoglio! Da dove viene l'espressione "avere i coglioni"? Tutte le ragazze che conosco avrebbero avuto una reazione più dignitosa, a sentirsi dire una frase del genere. (Ok, vabbè, generalizzare è sbagliato, etc). Di certo io (e molte altre!), avremmo piuttosto finto, di certo non avremmo fatto pesare all'altro il fatto di non piacergli! Posso anche immaginare il caso in cui si preferisca mettere in chiaro che invece per noi era proprio un'uscita tra NON amici, e in questo caso, beh, non è piacevole, ma almeno è onesto.

E NON compiangerti, dio santo.

Ero andata a ripescare la conversazione per analizzarne tutti i punti deboli, ma il suo più grande difetto è che è NOIOSA.

Quindi basta con questo argomento. Dirò soltanto che per fortuna venerdì sera avevo due stupidimaschi (detto con affetto, però), con cui dividere un piatto di pasta, una torta alle carote e, dato che mancavano leamiche per parlare di questi argomenti, un piccolo sfogo sulla situazione con losvizzero. E che hanno fatto del loro meglio, non saranno state leamiche ma mi hanno fatto ridere ("Sei stata troppo gentile! Ma devo insegnarti tutto? Dammi quel cellulare, ci penso io a rispondere la prossima volta!"), per lo meno dopo aver capito che era ME che dovevao supportare ("Ecco, tutte uguali voi ragazze! Lo inganni e poi lo scarichi!" "Ma che ingannare, gli ho detto quella frase apposta!" *sguardo furioso* "Ah! Beh... ma allora hai ragione tu! Fossero tutte come te... *tentativo di autocommiserazione bloccato sul nascere dalla sottoscritta, che vuole essere al centro dell'attenzione* *tentativo di riconquistare la virilità* "Non gli conviene trattarti male... sennò si trova a dover affrontare tutto il gruppo degli italiani!" "Ma cosa dici? Che fai promesse prima di sapere le cose importanti... è grosso?!")

Parte terza. Luzern.


Dopo il nervoso di venerdì sera, il sabato non poteva essere migliore. Si temeva la pioggia, che invece non c'è stata, e il freddo, che ci ha graziato.


Luzern è piccola e assolutamente adorabile, e mi spiace solo di aver fatto poche e brutte foto (ma c'è il blog di A.G. per questo!).


Ci sono ponti medievali in legno, piazzettine adorabili, alberi di natale a ogni angolo, e un sacco di luci (assolutamente non pacchiane, e questa è davvero una cosa che adoro).


La sera è ancora più bella, il tipico posto dove vorresti perderti (senza mai riuscirci veramente, a fine giornata persino io riuscivo ad orientarmi) con la persona di cui sei innamorata.


I mercatini di Natale non sono nulla di esagerato, né di grandioso, ma hanno buongusto. E vin chaud distribuito in tazze di ceramica blu, e deliziosi dolcetti allo zenzero.


Con una menzione speciale alle insegne 


 (o qualsiasi altra cosa che sporga dai muri e sbarluccichi)


e alle facciate delle case.



E poi la collezione di "Angie" (con tanto di discussioni sul perché i ragazzi non sono fatti per andare per musei)


 E adorabili cliché (formaggio, cioccolato e montagne innevate), e switzerdutsch (cfr. la i alla fine di qualsiasi parola).

E dopo essersi ben demoralizzati sulle foto, l'epilogo del week end: stasera mi aspetta il concerto degli Austra, che non conoscevo fino a due settimane fa.

E fra due settimane è Natale, e io sono a casa.

venerdì 2 dicembre 2011

I sosia

Ok, sono appena rientrata e sinceramente voglio solo gettarmi sul letto e dormire (con l'interrogativo: sveglia o non sveglia? E con "sveglia" non intendo un aggettivo, ma l'oggetto che suona la mattina).

Il fatto è che oggi ho visto ben due sosia, e, in particolare, stasera ho visto un sosia di Barney da giovane.

Chi di voi guarda How I Met Your Mother? (Parentesi: per me HIMYM resterà sempre legato a Lausanne. Ho cominciato a vederlo quando ero qui in Agosto, faceva un caldo pazzesco, ed ero in balia dei gatti; in un paio di mesi mi sono rimessa in pari, e ora come tutti aspetto gli sviluppi della 7x12). Per chi di voi non lo guardasse: a un certo punto i nostri cominciano a incontrare i loro sosia (sì, è pazzescamente così: il link rimanda a un sito dedicato all'argomento. No words), e Lily e Marshall decidono che, quando li avranno visti tutti, lo prenderanno come un segnale dell'Universo, tipo benedizione divina per diventare adulti (pfff) e avere un bambino.

Comunque, da quando sono qui vedo un sacco di sosia. Sarà che i miei amici mi mancano, sarà che cerco di ricostruire qui le mie abitudini, sarà che in Svizzera ci sono i fake. Comunque, dei sosia l'elenco è questo:

- Annie. Ebbene sì. Due volte (la stessa sosia). Molto più bassa, molto più emo. Ma stesso taglio degli occhi, e, se portasse la frangia, sarebbe così.
- Vins. Magro, pallido, emaciato, zigomi sporgenti. Dimenticavo che qui c'è la pizzeria Frascati...
- Edo. Sembrava veramente lui, tanto da fissarlo con insistenza cercando di convincermi del contrario.
- Andre. Stessi capelli rossi, stessa risata che senti e viene voglia di metterti a ridere anche a te.
- Vals. Se la Vals fosse più alta, con zigomi e mento più pronunciati, sarebbe così. Ha persino lo stesso modo di acconciarsi i capelli!

Ho visto altri sosia, ma non molto convincenti, e sosia di gente meno importante (fra cui uno che poi si è rivelato non il sosia, ma l'originale: un ciellino che era in corso con me in triennale, e che ora non so come mai è qui - e che ho visto entrare all'Internef, ergo la patria di legge ed economia... bah)

Altri sosia (personaggi di fantasia)
- un Barney in giacca e cravatta (lilla)
- un Puckerman (stesso taglio assurdo di capelli, e ho detto tutto).

- E poi, stasera, un altro Barney. Diciamo la versione giovane, che va in giro tirandosi su i pantaloni e allacciandosi la cintura, che dice "putes" anziché "filles" e incita gli astanti all'alcolismo, biondo, alto, urlatore, nella versione pre-giacca (e se è per questo anche senza scarpe).

Cosa fare quando gli avrò visti tutti? Di certo non rimanere incinta, io proporrei bere, ma ulteriori suggerimenti sono ben accetti.

martedì 29 novembre 2011

November rain (giusto per essere banali nella scelta del titolo. La pioggia di Novembre, comunque, qui non si è pressoché vista)

Novembre, come diceva anni fa un'amica, è uno dei mesi più inutili dell'anno ("...e la sola festa che c'è, è all'inizio, ed è pure quella dei morti", cit. della medesima).

A me piace moltissimo questo Novembre. Mi aspettano almeno due settimane di passione in senso etimologico, ma va bene così, anche perché nel frattempo mi diverto troppo, ma non nel senso della scervellata festaiola, proprio nel senso che sto bene.

Perché oltre alle serate crepes (e sì, lo so che ci va l'accento circonflesso!), a inviti per "une fondue sauvage" (ebbene sì, a quanto pare in Svizzera è consentito bivaccare in piazza, di notte, fondendo formaggio e andando in giro armati di apposite forchettine), ma soprattutto per una vera e propria Cena del Ringraziamento, con tanto di americani che si commuovono e ti spiegano tutta la storia del Thanksgiving Day (a quanto pare ignorando che tu sai già tutto perché l'hai già visto in millantamila film e telefilm), e si svenano per procurarsi un vero tacchino gigante... oltre al vino, alla pessima birra, e a svariate sostanza alcoliche di dubbia provenienza ("veniamo a sentire il tuo seminario!" "no, non voglio parlare francese di fronte a voi!" "e di che ti vergogni, ti abbiamo sentito parlare francese sbronza..." "non ero sbronza, e comunque dopo che ho bevuto parlo meglio il francese, e soprattutto l'inglese" "appunto. questo è quello che pensi tu") insomma, oltre ai cliché e alle feste, c'è anche la tazza di thè del pomeriggio, i canapé in uni, l'albero di Natale nel campus (di già!), l'atmosfera di feste (di già!), e le menate della spesa ("anche voi qui? sto andando a fare la spesa" "anche noi" "andiamo insieme?" "viene anche M." *un quarto d'ora dopo* "vuoi dirmi che è CHIUSO?? ma sono le 17h30!" "TE L'AVEVO DETTO che dovevamo andare nell'altro, che sta aperto di più! Oggi è sabato, ricordi? E ormai è troppo tardi" "ok, ho fatto un piano per il week end, dovremmo sopravvivere" "in ogni caso, la pasta non manca mai") e del bucato ("hanno riparato l'asciugatrice" *segue gaudio* momento #2: "non avevo abbastanza soldi, quindi la lavatrice non ha fatto in tempo a centrifugare. L'ho forzata e ho estratto i miei vesiti bagnati...").

C'è sperimentare torte, inventarsi la tradizione del risotto settimanale ("sono la cosa più vicina a una milanese che ci sia in questo luogo... il risotto allo zafferano, c'est à moi!"), scambiare occhiate sarcastiche, esportare il >pop<, ridere per niente, improvvisarsi guida spiritual-sentimentale, citare BBT, non capire niente (utilizzabile in più contesti), fare le scale senza ascensore (non per scelta), cantare sotto la doccia e chiedersi preoccupata se nell'altro bagno ti sentono, le porzioni generose della mensa ("siamo in due a volere i cannelloni, ce ne sono ancora?" "no" *il tipo prende altro e se ne va* *la cuoca ammicca*: "vuoi i cannelloni? ne sono avanzati ancora un po'" *riempie all'inverosimile il piatto della sottoscritta*), le lettere nella posta, cartoline da spedire, spiegare che essere italiana non vuol dire il terzo mondo (ma qualche dubbio viene), svizzeri che non capiscono la politica italiana, e tu neppure, altri che ti sfottono (ma è peggio la compassione), il lago sotto il cielo freddo, esseri belanti ovunque, prendere la metro per un soffio, domande trabocchetto che sfruttano i cliché, proporsi di andare a letto presto e non farlo mai, pigrizia, pigrizia ginnica ("dai, vieni a correre!" "scordatelo"), strane idee di salutismo ("guarda che bella cena sana!" "cotoletta surgelata, uova e patate??!"), sveglie posizionate sempre più lontano per provare ad alzarsi sul serio, il mio primo dizionario monolingua (che mi fa sentire molto chic), parole che in un'altra lingua hanno tutt'altro significato, parole che in un'altra lingua hanno un suono improponibile (VEVERKA!), parole mimate che neanche in un gioco di società. E non dimentichiamoci il gossip ("ciao, sono venuta qui perché non ho il tuo numero di telefono, e dovevo assolutamente dirti CHE COSA ho visto").

E sentire gli amici a casa, che mancano (e per fortuna Novembre mi ha regalato una visita). E gli appuntamenti fissi di telefilm che è bello guardare per poi discuterne (a volte anche per la photo recap). E il biglietto del treno per il ritorno.

Ma soprattutto, suonare ad altre porte ("ciao, tu non mi conosci, ma il tuo coloc sì. ho bisogno di una cosa dalla vostra cucina"), andare ad aprire alla propria, infastidirsi e cercare conforto ("come va lo studio?" "male" *occhi rossi* "tu?" "male" ... "faccio una tazza di the?"). Persino colazioni (per cercare di svegliarsi presto), ma più normalmente cene che degenerano in discorsi che si vogliono seri ma che non riescono a restare tali.

Tricotillomania, disordine, versioni di greco, accentuazione greca, seminari, bibliografie sterminate. E so. much. fun.

martedì 22 novembre 2011

Bla bla veut dire bavarder

Ricapitoliamo: siamo già oltre la metà di Novembre, e ancora NESSUN post è stato scritto? E dopo aver ricevuto una lamentela ufficiale in proposito... beh, bisogna rimediare! L'ultima volta che ho scritto attendevo l'arrivo di Annie: solo tre settimane fa, ma tre settimane sono un sacco di tempo! (Tra parentesi, uno dei migliori fine settimana che abbia passato qui. Perché è sufficiente anche solo prepararsi una pasta o guardare insieme qualcosa *a caso , coff coff*, ma se puoi girarti e avere qualcuno che ti capisce al volo, beh, è tutto diverso) (in effetti detto così sembra la mia copine. Un po' creepy).

Anche se stando qui, il tempo passa in fretta.

Ho già la mia routine, eppure c'è sempre qualcosa di nuovo da fare. L'appartamento 9430 è ormai casa, ma mi sembra di essere ancora all'inizio del mio Erasmus: chi resta qui solo un semestre, invece (e sono tanti, purtroppo!), sente il Natale come una minaccia: vuol dire fine... (e in un Paese dove è da un mese che vedo comparire stand a tema nei supermercati, è una cosa che mette pressione).

Per me, invece, Natale quest'anno vuol dire sì casa (casa Italia), ma come un'altra vacanza: vuol dire amici, che mi mancano (e avere Annie qui me l'ha fatto capire ancora di più), mamma e papà, parentame vario, e poi spero un po' di shopping (con la scusa che i pantaloni cominciano ad andarmi stretti: la dieta svizzera da Erasmus pigra comincia ad avere effetti negativi...). Insomma, una vera vacanza, forse addirittura il primo Natale da anni senza studiare per gli esami imminenti (ma magari posso farne qualcuno a Milano... oddio, l'esame di SMT?? No, quello no, non riuscirò mai a darlo!).
Sapendo che poi si torna qui.

Ribadisco che l'università è pazzesca. E che la biblioteca è aperta tutto il giorno (8-23h00, il Rolex Learning Center dell'EPFL fino a mezzanotte. E stare lì, vuol dire stare - preferibilmente svaccato su un pouf - in una specie di parco gioco per chi ama il design), TUTTI i giorni. E la domenica c'è gente. Tanta. E fuori, da una parte vedi il lago, dall'altra pecore che belano rumorosamente e agnellini ruzzanti (e quando dico "a mezzo metro, al di là del vetro", intendo davvero mezzo metro). C'è anche un po' di disprezzo, nelle pecore che guardano gli studenti chini su enormi tavoli da quattro posti (O greggia mia che posi, oh te beata, che la miseria tua, credo, non sai! Quanta invidia ti porto!, dice il poeta, e lo studente alla BCU), ma poi scendi nell'enorme sala dedicata alle riviste. Dove ti perdi, per forza (ma che soddisfazione trovare aprendo a caso "Luigi Lehnus" e "Claudio Gallazzi" - per non parlare dei papiri dell'Università di Milano! AH!)

Detto questo, pensavo di fare più fatica all'inizio, col francese. Invece no, però è anche vero che non sono progredita molto (e pensavo/speravo il contrario): il mio accento è forte e riconoscibile (come mi ha fatto notare uno spagnolo che parlava VERAMENTE male. Immaginate la mia offesa), e fosse solo quello il problema!

Poi. Sto ingrassando. Lanna dice: sei florida. (Segue disperazione).

Mia madre scopre la chat di skype e le emoticon (e mi regala perle di saggezza irripetibili, ma di cui si può riferire la replica: ma che idea ti sei fatta di tua figlia??)

Brillitudini. Intanto, qui mi sto facendo la fama di quella che beve e regge l'alcol (ahah). Da brilla mando messaggi maledicendo la mia stupidità (è vero), dò consulti psicologici di ottimo livello, e mi accorgo dei "è fatta è fatta" (segue occhiolino) che mi vengono rivolti dagli ii (ingegneri italiani) qualora stia parlando con un ragazzo.

A proposito: rimane l'incognita svizzero.

Ma l'uomo della mia vita, forse, non è da cercare altrove, quando è già qui, sul mio computer (in un centinaio di disegni): Roy Mustang. No, è che è figo.

Cose con cui è cominciata bene la settimana: dormire (ma non troppo), colazione, una lettera (FAT) nella posta, un mug (di cui da the dipendente sentivo la mancanza)  nuovo, rosso a pois bianchi, una séance sospesa, un'ora e mezza di discofit senza morire, My David (non c'entra, non l'ho fatto apposta) don't you worry, this cold world is not for you, so rest your head upon me, I h a v e s t r e n g h t t o c a r r y y o u cantata a mezza voce nel parco del campus ormai buio. E poi è bello tornare a casa, e suonare ai vicini.

E d'altra parte l'indipendenza del mio studiò è impagabile.

Come da migliore tradizione, la mezzanotte è appena passata. Mi rendo conto che questo post è sconclusionato e quant'altro (come il mio seminario su Empereurs et spectateurs), ma siate comprensivi :)

(E c'è da parlare ancora dei sosia, innumerevoli, che qui vedo di tutti o quasi - quel quasi è importante, se guardate How I Met Your Mother; di quanto mi piace dire certe parole/frasi in francese, e di come siano carini gli accenti scritti in mezzo alle parole. Et caetera, insomma - con la scusa di procedere a random, non riesco mai a  fermarmi).

lunedì 31 ottobre 2011

With the winter in my throat

Ogni lunedì, ricevo almeno un paio di mail da parte di qualche associazione dell'Unil che ci tiene a informarmi su quanto succederà in settimana.

Questi, invece, sono i miei sentimenti per la settimana incombente (tra parentesi, bello avere il lunedì mattina libero, anche se poi non si combina molto. Però fa bene all'aurea. Credo).

- Annie nel week end! Evviva!
- Histoire internationale contemporaine. Accidenti a questo "examen blanc" o "en blanc" o quello che è. Accidenti, accidenti, accidenti, devo studiare. Ma soprattutto, COSA ci sarebbe da studiare? Figuraccia in arrivo.
- E i due seminari. Maledizione, i due seminari da scrivere e presentare. Su Plauto nel finesettimana ho lavorato abbastanza... ma imperatori, spettatore e giochi?? Vogliamo parlarne??! (No, non vogliamo parlarne).
- Indi, tricotillomania a go-go.
- E il bucato?
- E la spesa?

Se a tutto questo aggiungiamo: lo svizzero, le zucchine che bruciano (adesso!), serate organizzate con una settimana di anticipo, fondue, dimenticanze e diserzioni, improvvise semi-nostalgie, gli italiani che mi fanno mangiare e ingrassare, terrificanti caramelline al miele ed erbe per scacciare il mal di gola, "aspetta, ma QUELLO è l'adesivo di KDE!" * sguardo da MA TU CHI SEI VERAMENTE* "è una lunga storia, e io non ho nessun merito", halloween in anticipo (e essere l'unica a volersi mascherare), il cambio d'ora, il "no ma se io mi sveglio dopo le otto mi sento in colpa" (e conseguente mio senso di colpa), giornate in biblioteca (ma solo a partire dalle 11h00); e tornare a casa stanca, indecisionarsi un po', poi fare una torta ascoltando i Keane (chissà perché, per certi versi la colonna sonora di questo autunno) perché "ho proprio voglia di rilassarmi"; sentirsi dare (a ripetizione) della fancazzista ed essere silenziosamente ma severamente giudicata per il caos straripante della camera, il passo veloce, impossessarsi di un intero divano per guardare un film... ecco, se aggiungiamo tutto questo capirete meglio la mia scorsa settimana, l'inizio di questa, il nodo nei capelli, ma anche perché mi piaccia l'autunno.

Colonna sonora: Porcupine Tree, I Drive The Hearse.

martedì 25 ottobre 2011

Il mio primo manga


Occhi che brillano, mode on.

"Ti ho scaricato FMA in  f r a n c e s e  così non hai scuse. E una volta capito che "scaricare" si dice "télécharger", è stato facile" (cit.)

*

Eh, che post inutile, direte.
Affari vostri.

Io ho imparato: ramener, frangin, sale con, otage, aveugle, e una serie di insulti e parole utili (spesso le due categorie coincidono) che non sto a ripetere.

Ma soprattutto: Roy Mustang fan club!

mercoledì 19 ottobre 2011

Oh, yeah

Sono un po' brilla (no, solo felice), domani ho Connaissance pratique della langue grecque alle 8h30, le mie torte sono state apprezzate e mangiate (gateau facilissimo aux pommes e torta al mascarpone con pezzetti di cioccolato: senti che la terza età è vicina quando vuoi aprire un blog di ricette??), è stato un compleanno diverso dai soliti ma non malinconico, ho passato la serata con persone che conosco poco ma che mi stanno simpatiche, ho bevuto un po' di birra, un tipo al piano mi ha suonato "Happy birthday" (che vergogna), e With a little help from my friends ("I'd like a Muse song" "But I don't think he knows WHO the Muse are" "Ok, I'll ask for some Beatles"), ma prima mi ha sorpreso con Starlight, proprio come un regalo inaspettato.


E venerdì la mia "famiglia" acquisita (parte di) viene a trovarmi.


(E ho trovato una lettera nella posta oggi. Non è perfetto?)

martedì 18 ottobre 2011

Randomness (in salsa svizzera)

Penso che potrei anche abituarmi ad attraversare la strada come se fosse un diritto, e non un privilegio strappato con l'inganno agli automobilisti.

Ho provato a fare una torta alle mele il più semplice possibile, per liberarmi della cotognata acquistata in un momento di nostalgia. Avrò il coraggio di farla assaggiare a qualcuno, o sarò la cavia di me stessa?

A proposito di torte, la torta salata dell'amicizia è stata sottoposta al test, che ha passato a pieni voti. Avevo imparato a farla solo per quello, e... funziona!

Stando con gli italiani, si imparano i dialetti.

C'è ancora chi trova che l'accento italiano sia più dolce, e renda tutto più bello. Beata innocenza.

Sigh, David. Per la serie: quando si potrebbe passare sopra a tutto, compreso un taglio di capelli (biondi) alla Beatles (non a caso, "inventato" da una tedesca. Ci deve essere un perché), ma, tanto, non se ne avrà mai l'occasione.

It's a warm summer evening, circa 600 BC (ovviamente, cit.)


Qui la biblioteca (le biblioteche) sono aperte fino alle 23. Anche la domenica (e qui ci tengono a dire che a Natale e al primo dell'anno sono chiusi. Quanta dolcezza). (Seriamente, ma non è troppo?!)


OMG, ho appena guardato l'ora. Siamo a mezzanotte (ancora una manciata di secondi, in realtà, stando all'orario di Francoforte), siamo al 18 ottobre, è il mio compleanno, il primo della mia vita fuori casa. Adultitudine? Più che altro, adesso come adesso, quasi paura (e non so nemmeno perché).


E forse è vero che What's my age again è la colonna sonora più adatta (vedere anche qui). Al supermercato, se compro la birra, mi chiedono la carta d'identità.

sabato 8 ottobre 2011

Stavo rimettendo a posto la tessera sanitaria nel portafoglio, e non ci riuscivo. C'era qualcosa dentro la taschina che faceva resistenza. Smadonnando silenziosamente contro la mia mania di lasciare ovunque tracce pressoché inutili ("sarà lo scontrino di una gelateria, messo via, chissà quando, solo perché il posto era carino"), riesco a recuperare "l'intruso". Un foglietto ripiegato, scritto a mano dalla sottoscritta.

L'amore non è una cosa che è lì e si limita a stare lì ferma, come una pietra: è una cosa che deve venire fatta, come il pane, rifatta ogni volta, rifatta nuova. Quando l'ebbero fatto, rimasero uno nelle braccia dell'altra, tenendo stretto l'amore, e si addormentarono.


Ursula K. Le Guin, La Falce dei Cieli


E allora improvvisamente mi sono ricordata perché mi piace conservare ricordi e disseminarli in giro. Perché spero sempre di ritrovarli per caso, e di sorprendermi, e di riviverli.

Un libro consigliato (impaginato!) da un'amica, l'estate della laurea, una casa in montagna con i lavori in corso, una passeggiata silenziosa nel bosco.

venerdì 30 settembre 2011

(NB: questo post è stato scritto all'inizio di settembre. Non sapevo neppure più se pubblicarlo o meno, ma dovrei farcela al pelo prima di mezzanotte e prima di ottobre, quindi ci provo, e tenetevelo così).

Quando avevo diciotto anni ho incontrato l'uomo della mia vita. Cioè, credevo lo fosse. Fatto sta che ero giovane e ingenua (più di ora, se non altro) (fra l'altro, chissà se qualcuno ha già pensato a mettere sotto copyright la frase "ero giovane e ingenua"), e lui era più o meno quanto la diciottenne giovane e ingenua che io ero voleva. Non che ci volesse poi molto, bastavano le piccole grandi sintonie, e il fatto che mi facesse ridere, e che mi incantasse quando parlava.

Certo, col senno di poi è facile dire che avrei dovuto sospettare che c'era qualcosa che non andava (tanto per dire, quando mi rivelò che il suo libro preferito era I dolori del giovane Werther, "soprattutto la parte con i canti di Ossian"). La verità era che allora ("ero giovane e ingenua", marchio registrato) non davo peso a queste cose, anzi, mi sembrò un pregevole segno di distinzione.

A peggiorare il mio senso di discernimento, ci si mise pure il prof di greco del liceo, che, durante quella celebre lezione su Polibio, pronunciò LA frase, una di quelle che ti cambiano la vita.
Complicandotela per sempre.

LA frase, tanto per farvi capire la gravità della situazione, mi ha incitato a scartare a priori chiunque fosse privo dell'indispensabile dono della lacrima facile di fronte al méninaèidetheà.
Diceva più o meno così: se ti trovi davanti un uomo che piange leggendo l'Iliade, non è del tutto da buttar via. Soprattutto se è uno Scipione ed è davanti a Cartagine.


E io, idiota, a esaltarmi tutta, nel mio banco vicino alla parete, perché, mentre prendevo appunti con foga, ero stata folgorata da una certezza: LUI piange leggendo l'Iliade (e, anziché mettermi a ridere, o prenderla come un deterrente, mi sembrava una cosa figa).

Fine di quella che avrebbe potuto essere una vita sentimentalmente normale.

Tutto questo "grande amore", ovviamente, non durò nemmeno dodici miseri mesi.
La parte del lasciarsi, quella sì, fu lunga e difficile e tormentata. Perché mica poteva finire in modo normale.

Da allora, odio la locuzione "non so".
Da allora, nonostante i "non so", abbiamo passato (almeno) i due anni successivi a pensare (alternativamente, e pressoché mai simultaneamente) di essere fatti l'uno per l'altra, stressando in maniera indicibile i rispettivi amici.

Da allora, ho imparato che quando dici per la prima volta "ti amo" a qualcuno, può anche non esserci nessuna risposta. Il soggetto in questione, per esempio, mi ha risposto dopo due anni e mezzo. E io stavo con un altro (e uno che fa così non ti ama. Ama solo se stesso, l'egocentrico, se stesso e la sua sofferenza) (I dolori del giovane Werther, appunto).

Credo che nonostante tutto il tempo ci avrebbe fatto tornare insieme (come ripetevamo entrambi, pervicacemente, alla spalla dell'amico/a che continuava ad ascoltare quei discorsi per la millesima volta, e voleva solo vomitare per la noia), se la pazienza fosse stata solo un po' più paziente, il tempismo un po' più tempestivo, o se, semplicemente, almeno uno dei due avesse messo da parte l'orgoglio.

Fortunatamente non è successo.
Fortunatamente perché nonostante avessimo passato mesi e mesi a dipingerci come "la persona che sposerò", è chiaro che, beh, la perfezione non è di questo mondo, e la delusione, di conseguenza, è sempre in agguato.

Siamo seri: quanto (poco) tempo sarebbe passato prima che lui capisse che non avevo nessuna intenzione di sfornargli pargoli - e sottolineo il maschile - e cucinare primo secondo contorno frutta dolce caffè, lasciandolo in pace durante le partite del milan? Quanto, prima di renderci conto che leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse va bene, appunto, per un giorno, ma non per tutta una vita?

E me la sarei sentita di continuare a mentirgli? Io, I dolori del giovane Werther l'avevo letto, ma saltando pressoché a piè pari i canti di Ossian (un po' come le parti storico-filosofiche in Guerra e Pace).

Comunque, siamo rimasti nelle rispettive vite per un po'. Niente amoreggiamenti, ma tante parole, e in fondo andava bene così. In realtà, come è chiaro anche al lettore sprovveduto che è arrivato fin qui solo perché cercava Dante, Inf., V, 127-8, il nostro continuare a frequentarci e a ripeter(ci) quando stavamo bene insieme era ovviamente molto masochista.

Un po' come One Day, e non fate sofismi sul paragone, che ovviamente lusinga entrambi.

(Parentesi su One Day: ho adorato il libro - d'accordo, letteratura d'intrattenimento, e allora?? (e poi, la letteratura è intrattenimento) - nonostante la sofferenza gratuita e l'autolesionismo dei personaggi. Penso che certe pagine siano semplicemente perfette - tranne l'incipit, ma poi c'è quella frase su questa storia che si diventa vecchi, e che io invece ho deciso che vorrei rimanere esattamente come sono ora, eh, beh, condensa le ultime generazioni in neanche un paragrafo, e la sbruffoneria che in realtà è paura, che non c'è bisogno che ve la spieghi, la conosciamo tutti. Sto aspettando di vedere il film, ma, parliamone: Anne Hathaway è decisamente troppo bella, e Jim Sturgess decisamente troppo "stropicciato": per fare Jude è perfetto, ma per il borghese ricco, un po' stupido e tanto fascinoso? Bah).

"Un po' One Day" nel senso che siamo rimasti nelle rispettive vite per quel po' in cui ci si interessava ancora l'uno all'altra. Insomma, fino a quando faceva ancora male, per dirla in modo da far piangere i quindicenni emo.

Poi, non so se a poco a poco o improvvisamente, è finito tutto.
Finite le paranoie, finite le telefonate e le serate a birra e parole. Soprattutto, finito il tormentarsi inutilmente. Forse perché non si è in un romanzo, dopotutto, e fortunatamente di diventare "migliori amici" non si è mai parlato (niente "Dexter, ti sposi! Ma è pazzesco!", grazie a dio).

*

E niente, tutta questa sbrodolata para sentimentale perché, dopo un anno di tacito accordo di pacificazione (non ci sentiamo, ma non ti odio, non ti amo, tu non mi odi e hai incontrato la donna della tua vita), ho scoperto circa una settimana fa che mi ha cancellato, chissà quando, da Facebook (e su come Facebook abbia cambiato tutto, sentimentalmente parlando, prima o poi qualcuno ci scriverà un saggio di sociologia). Sono rimasta spiazzata, ma nemmeno troppo.

Dopo tutta questa sofferenza (artisticamente fecondissima, va detto), sussulti un istante, "WTF??", e alzi le spalle.


I cannot live without my life, I cannot live without my soul, però poi la vita normale vince sempre, e per fortuna.

Emily, tu hai mentito.

giovedì 29 settembre 2011

Peccare di hybris

First, you'll love it. Then, you'll hate it. Finally, you'll love it again. Almeno a quanto aveva detto il Rettore (no, non era il Rettore. Responsabile della Facoltà di Lettere? Qualcosa del genere) il primo giorno. Come ben dice la Vale, io oscillo continuamente tra bianco e nero, esaltazione e disperazione, love & hate.

Questa settimana, con l'inizio dei corsi, è stata una successione di (già buffe) disavventure. E non è ancora terminata.

Non avevo fatto in tempo a dire quanto mi piace qui, quanto sono figa a capire tutto, quanto noi italians do it better, figurati se non riesco a seguire i corsi degli stupidisvizzeri. Mi stavo ancora crogiolando nei "come sei brava", "come sei coraggiosa" e, soprattutto, nei dolcissimamente menzogneri "Mais non! Tu parles très bien le français!". Non sono figa, non sono brava, non parlo très bien français, insomma, non sono coraggiosa. Piuttosto, sono incosciente.

Perché solo un'incosciente avrebbe preso la stupidissima decisione di farsi un anno via da casa a frequentare l'università in una lingua che non conosce. E in Svizzera, per di più. Persino l'uomo più pacifico del mondo, mio padre, ha trovato il modo di dirmi: "...che poi in Francia sarebbe stato diverso. Ma proprio in Svizzera dovevi andare, tra tutti i posti..." E io potrei anche spiegargli per l'ennesima volta che non ci volevo venire qui, che certo, anche io preferivo la Francia, che non per niente ho coniato il termine stupidisvizzeri, ma sarebbe inutile, e poi mi sono stufata di ripeterlo. Come per il mio studiò era una scelta prendere o lasciare: non ti va di andare tra i vicini extracomunitari? Affari tuoi, niente Erasmus. Che poi, a pensarci, potevo fare come Marta Folletto e andarmene ad Atene. Sei mesi di gyros, ouzo e pessima birra mythos, prezzi stracciati, gente amichevole, donne con i baffi, tamarri mediterranei, chiassosità diffusa, elasticità mentale, simpatia. E invece no, io e la mia stupida idea "voglio andare in Nord Europa", solo perché l'estate prima ero andata in Belgio e durante l'inverno mi ero innamorata dell'Olanda. Così è andata a finire che la mia idea di Nord Europa non solo non è nemmeno lontanamente esotica come la Rovaniemi di Annie, e fin qui ok, ma si è persino incagliata a tre ore di treno da casa.

So presentarmi ormai benissimo in francese, mi faccio capire al supermercato, chiedo informazioni con piglio sicuro e pessimo (ma orgoglioso) accento. Ma mi mancano le parole per dire pressoché qualsiasi cosa che sia più di "mi passi il sale".

Non contavo su degli sconti a livello di corsi, ma su un minimo di comprensione sì. Invece sono l'unica Erasmus in tutti quelli che seguo, e, benché tutti si siano mostrati gentili, è evidente che da me ci si aspetta un lavoro pari a quello degli indigeni. Il che è giusto, ma mi spaventa a morte.

Tradurre senza vocabolario è un'ingiustizia. Punto.
Tradurre in greco dal francese è una tortura, se non che, forse, non è nemmeno tanto più difficile del contrario.
C'è di buono che potrei essermi innamorata dell'assistente di greco. Ce ne sono due, un ragazzo e una ragazza, entrambi giovani e dall'aria simpatica e amichevole (che in Italia ti puoi scordare). Comunque, lei è bellissima, e se mai mi taglierò i capelli cortissimi, sarà nel tentativo di imitarla.
C'è il rischio che mi piaccia linguistica. Ed ero anche decisa a cambiare piano di studi e frequentarla in autunno, ma mi sa che avrò troppe cose da fare. Peccato (anche se leggere per cinque volte di fronte a tutti lo stesso verso, dopo la premessa che "che bella lingua l'italiano, voi sì che sentite la sonorità del latino", ecco, forse non è proprio la maniera migliore di iniziare la settimana).
Mi si chiede di preparare un dossier di una decina di pagine più bibliografia, e di tenere una lezione di un'ora, "non di più perché dopo c'è il dibattito". Non si preoccupi, non c'è problema.

Tutte le mie lezioni da antichista sono in aule da una decina di persone. Histoire internationale contemporaine è in una vera aula universitaria, piena fino agli ultimi posti. Prendo appunti in francese, poi passo all'italiano, infine non capisco più niente, se non che dovrei leggere un sacco di libri. Lo stesso dicasi per il seminario correlato (ma ho la soddisfazione di sentir parlare di un certo De la coté des petites filles di Elenà Belottì: con aria snob, lo scrivo in italiano, aggiungendo il secondo cognome. Quando le cose si sanno, si sanno).

Sono timida e orgogliosa, e non voglio andare in giro a mendicare amicizie. Per ora conosco qualcuno, e mi basta (certo, ho un po' paura di fare la figura della sociopatica). Sono spesso da sola, e non mi pesa, ma a volte mi piacerebbe che non fosse così.

Questo mi porta a situazioni esilaranti.
"Salut"
"Salut"
"Tu es ici pour le cours d'appoint?"
"Oui"
"Erasmus?"
"Oui. Moi aussi"
Poi mi dici che vivi pure te a Triaudes, e io non sono lì a chiederti "VUOI ESSERE MIO AMICO DI PREEEEEEEEEEEEEEEEGO" solo perché non parli italiano, ma cerco di dirtelo lo stesso in francese. Insomma, io non faccio queste cose, ma ogni tanto ci vuole un po' di contatto umano.

Sennò finisce come mercoledì sera, che vado alla serata di apertura della stagione del ciné-club (Salle du Capitole, alias prima sala cinematografica mai aperta a Losanna, restaurata e chic), gratis e con tanto di aperitivo, e scopro che Catharina m'a posé un lapin, ovvero mi ha elegantemente tirato buca, dopo che mi aveva convinto ad andare "ma mica da sola, eh". L'unica cosa che potevo fare era gettarmi sul buffet, ma non è certo una cosa di cui poi uno va fiero, o che racconta agli amici.

Insomma, sì, mi sento un po' perdue. Ma non voglio nemmeno risultare pesante (in tutti i sensi) come quella famosa M, quindi basta così. E poi, ad essere sincera, solo il fatto di aver scritto tutto quanto me ne fa già sorridere.

Courage! Siamo solo all'inizio ;)

lunedì 26 settembre 2011

Home is where your spaghettiera and moka are.

E non c'è niente da aggiungere, è quasi mezzanotte e voglio andare a dormire, da domani si inizia (forse) sul serio. Ma un post lo voglio scrivere (questo è in travaglio da un paio di giorni, e ce n'è un altro che è praticamente già pronto ma che non c'entra niente).

Sono gelosa del bellissimo blog che ha aperto A.G. per il suo Erasmus, anzi, sono gelosa della sua costanza (ho accarezzato pure io l'idea di aprirne uno solo per l'esperienza lausannoise, ma riuscirei a scriverci tutti i giorni??), nonché della sua macchina fotografica funzionante.

Mi gusto la solitudine del mio studiò, che forse è già un po' casa.

C'è il mio copripiumone sul letto, e il plaid blu con le stelle (comincia a fare freschino) che di solito sta sul divano bianco e che è il mio preferito. C'è la mia sveglia, la spaghettiera, la moka. Ci sono i piatti ovali, le due tazze bianche per il thè, i vocabolari di greco e latino (con le rispettive grammatiche pluriennali). Ci sono le mie cose sparpagliate nel solito caos, c'è il poster con le foto delle persone a cui tengo di più (e che mi mancano).

Poi, c'è un cucinino con un tavolo quadrato, e un bagno senza finestra (e senza bidet, che inciviltà). Una camera spaziosa con un piccolo armadio. Una tendina blu. Un biglietto sulla scrivania, viene da Amsterdam e dice: "Dear Giulia, welcome to your new home" (era nella cassetta delle lettere, ad aspettarmi). Una connessione (ovviamente, e finalmente!) Dei nuovi acquisti, due scatoloni colorati, una lampada da nerd, una piantina dal nome buffo. Ci siamo adottate a vicenda.

Questa è casa mia (c'è la pasta dell'alce nero in dispensa), e non lo è ancora (che razza di pavimento è questo??). C'è il rumore della strada sotto casa, e vicini sociopatici, e tanto grigio.

Ma spero che ci vivrò bene, e che mi divertirò.

In università la scorsa settimana ho sentito un pianoforte misterioso suonare, ho visto delle pecore pascolare (sul prato), ho bevuto una Kwak a 4 CHF, ho avuto una paura folle, e una gran voglia di stupire tutti, compresa me stessa.

Non sono assolutamente pronta, quindi è tempo di tuffarsi.

Bonne nuit.


martedì 13 settembre 2011

Maybe, you and I will not believe in the things we find behind the door

Il fatto è che da piccola mi piaceva fare la valigia. Mi piaceva l'atmosfera che aveva la casa la sera prima di partire per le vacanze, mia madre che tornava a casa dal lavoro e stirava quintalate di roba accumulatasi, mio padre che "dai Gianni vai a dormire che dobbiamo alzarci presto", io che, manco fosse Natale, non riuscivo ad addormentarmi, e poi sveglia nel cuore della notte, fai piano sennò disturbi i vicini, colazione antelucana e tutti in macchina. Dopodiché, l'immancabile "siamo arrivati?" appena imboccata l'autostrada, e ore di sonno.

Ora avrei almeno due valigie da preparare, e non ne ho proprio voglia. E c'è un post già scritto che attende un'ultima revisione prima di essere pubblicato, un piano di studi da perfezionare, e-mail in francese da scrivere, burocrazia da sbrigare, persone da contattare e da salutare, libri da impilare. Invece io mi siedo sul letto e accendo il pc.

Nobody knows the way it's gonna be.

In tutto questo, eventi notevoli della mattinata (a ora):

1) nell'ultimo sogno mattutino, quello più vivido perché ti sei già svegliata una volta e quindi sei nella goduria del riaddormentamento, vivo una scena da Harmony. Nel sogno, penso: no, non può essere così facile, ci deve essere qualcosa che non va! Modifico il sogno perché l'Eroe si trasformi nel Cattivo. Poi, pietosa, mia madre mi sveglia.

2) scopro che gli amorevoli genitori, quelli che un po' ti viziano perché sei figlia unica, e che ti coccolano ancora nonostante la tua età ormai veneranda, dopo giorni di "Ma che dici, prendere il treno, che sei scomoda con la valigia, le borse e tutto... Ti porto io in Centrale, scusa!", hanno deciso che, dopotutto, posso anche arrangiarmi da sola. "Giorno di ferie? Permesso? No che non l'ho preso, non mi hai detto niente! Ma portala tu, che sei a casa, piuttosto!" "Lo sai che avevo intenzione di stare con Paul!" ... "Vabbè, figlia, vacci da sola".

3) ricevo una telefonata da un numero sconosciuto. Rispondo e mi sento apostrofare con "Ehi, quattrocchi!" Considerata la simpatia, e fatte due considerazioni sul timbro della voce, deduco che sia il marito di mia cugina, che ha questa mania di fingersi altre persone al telefono. Lo smaschero, "Guarda che ti ho riconosciuto! Ma non dovresti essere al lavoro?" Silenzio. "Vabbè", e riattacca. Comincio a pensare che non sia lui, dopotutto. Ma chi è l'idiota. allora?

4) mentre già pensavo di essere stata sedotta, usata e abbandonata ("...e quindi tu hai già fatto l'esame di C... potresti inviarmi i file? Io non riesco ad accedere al sito..." "Ma certo, non c'è problema, ce li ho ancora tutti salvati sul pc" *tornando a casa e scaricando appositamente qualcosa tipo 28 file*) da Ewan (una versione di Ewan Mc Gregor più metallara e boscaiola, che vedevo a un corso in unimi lo scorso autunno, e che mi sono trovata all'esame giovedì), ricevo finalmente una risposta via mail. Vabbè che non dev'essere sveglissimo, gli ho detto che parto e lui mi saluta con "ci si vede in università". Comunque. Si chiama anche lui così. È un'invasione. O una persecuzione.

sabato 10 settembre 2011

Non so più che giorno è

Come ti senti?

Come vuoi che mi senta, bene, mi sento.
Ho passato una settimana a studiare e tormentarmi i capelli, ma l'esame è andato bene, sono pronta a partire.

Ho il biglietto del treno per mercoledì, manca pochissimo e nell'attesa cerco di vedere e salutare tutti, e non sono mai a casa. Nella confusione mentale generata dalla sfasatura delle date degli appelli universitari, penso di essere a fine luglio. Questa è la mia estate breve.

"Credo che questa sarà l'ultima volta che ci vedremo, prima che io parta" (l'ultima volta che ci vedremo, per sempre?)

Non ci sono mai state promesse. Non c'è mai stato nulla di più di una bella serata. Mi preoccupavo di poter fare la parte della stronza, ma neanche più di tanto.

E ora, chissà perché, un po' mi spiace.

Forse è l'afa, forse è che ci sono troppe cose da fare. Forse sono io.
Forse è che mi piace essere perennemente scontenta per qualcosa.

venerdì 26 agosto 2011

Senza più dèi, oggi impariamo a conoscere i sentimenti attraverso la letteratura che ci insegna cos'è l'amore in tutte le sue varianti, e cosa sono il dolore, la disperazione, la speranza, la noia, lo spleen, la tragedia, la gioia.

Forse due post in un giorno solo, e a distanza di poche ore, sono un po' troppo.
Però nell'elenco precedente ho dimenticato di citare quella che sarà la mia nuova casa. A Losanna, ma non a Losanna (evidentemente per me la periferia è una condizione di vita). Misantropa, ma non sociopatica, spero. Vicino all'università, e, mi dicono, vicina al lago. Lontana dal centro, ma, si spera, vicino a qualcos'altro. Insomma, ho davanti a me tre settimane di aspettative, sogni e paure, e attese.

*

E poi c'è quanto segue, ovvero l'ultima pagina di D di domani (?!). Che da sempre è di Galimberti, e quindi filosofica e spesso complicata, ma questa è anche deliziosamente classicista (cfr titolo del post).



Professore, ma che me ne faccio di Dante?
Racconta la tradizione che, quando chiesero ad Aristotele: "A cosa serve la filosofia?", la sua risposta fu: "A nulla, perché la filosofia non è una serva"
Risponde Umberto Galimberti
La prima lezione di letteratura per un insegnante di liceo è la più difficile. Lo è perché, nel tentativo di spiegare cos'è la letteratura, si troverà a rispondere alla domanda: "A cosa serve la letteratura?", che puntualmente gli studenti gli porranno.
Mi sono trovato a dover convincere i ragazzi che quello che avremmo letto e studiato tutto l'anno sarebbe servito a qualcosa, e con mille citazioni, più o meno colte, e più o meno adeguate, ho tentato pure di dire a cosa. Mi sono sentito spesso un pazzo, che scimmiottava qualche strampalato professore da film, e penso alla fine di non aver raggiunto il mio scopo. I ragazzi hanno sì apprezzato la prima lezione, ma già alla quarta o quinta il commento: "Ma cosa me ne faccio di Dante?" era trattenuto a stento.
Lei come convincerebbe i giovani di oggi dell'importanza e dell'utilità della lettura? Cosa direbbe, o farebbe leggere loro? Perché i ragazzi chiedono l'utilità di ogni materia ("Che me ne faccio dell'analisi logica?", "A che serve la storia?"), come se avesse senso studiare solo quello che immediatamente garantisce un tornaconto?
Prof. D.

Dal momento che vent'anni di televisione commerciale hanno fatto perdere ai nostri ragazzi qualsiasi interesse per la cultura, e dal momento che il denaro è diventato, soprattutto negli ultimi anni, il generatore simbolico di tutti i valori, è ovvio che, non capendo più che cosa è bello, che cosa è buono, che cosa è giusto, che cosa è sacro, i nostri ragazzi capiscano solo che cosa è utile. E da questo punto di vista la letteratura è proprio inutile. Anche se ogni cosa è utile a qualcos'altro, e questo qualcos'altro è utile a qualcos'altro ancora, per cui se non si approda a qualcosa di inutile, tutte le catene di utilità diventano insignificanti e prive di senso.
Ma siccome questo è un ragionamento e i giovani d'oggi non sono particolarmente attratti dai ragionamenti, lei, caro professore, potrebbe informare i suoi allievi che la letteratura serve per educare i nostri sentimenti, che non abbiamo come dote naturale ma come evento culturale. La natura infatti ci fornisce gli "impulsi" che hanno come loro espressione non la parola, ma i gesti. Il bullismo, per esempio, non è un fenomeno di mancata educazione, ma un vero e proprio arresto psichico di chi non si è evoluto dall'impulso per pervenire all'emozione.
L'"emozione" è già un evento psichico che segnala la risonanza emotiva che gli eventi del nostro mondo, e le risposte che noi diamo a essi, producono in noi. Quando i nostri giovani dicono che al sabato sera in discoteca si calano una pastiglia di ecstasy per "emozionarsi", segnalano che per passare dall'impulso all'emozione hanno bisogno della chimica. E così denunciano che la loro psiche è apatica e non registra alcuna risonanza emotiva a quanto in generale avviene intorno a loro. Quanti delitti o spaventosi atti di crudeltà avvengono senza movente, per la mancanza di una risonanza emotiva relativa ai propri gesti che i nostri ragazzi chiamano "noia"?
Dall'emozione si passa al "sentimento", che non è un tratto naturale, ma culturale. A differenza dell'emozione, il sentimento è un elemento cognitivo. Kant dice ad esempio che la differenza tra il bene e il male ognuno la "sente" naturalmente da sé. Le mamme capiscono i bisogni dei loro neonati, che ancora non parlano, perché li amano. Gli innamorati capiscono il significato recondito di ogni gesto dell'altro, perché si amano.
Tutti i popoli hanno imparato i sentimenti attraverso narrazioni mitiche. Se guardiamo l'Olimpo degli antichi Greci, vediamo che gli dèi altro non sono che la descrizione delle passioni e dei sentimenti umani: Zeus il potere, Atena l'intelligenza, Afrodite la sessualità, Ares l'aggressività, Apollo la bellezza, Dioniso la follia. Senza più dèi, oggi impariamo a conoscere i sentimenti attraverso la letteratura che ci insegna cos'è l'amore in tutte le sue varianti, e cosa sono il dolore, la disperazione, la speranza, la noia, lo spleen, la tragedia, la gioia. Una volta appresi questi sentimenti, siamo in grado di conoscere quello che proviamo, e, grazie alla descrizione letteraria, anche il corso e l'evoluzione del nostro stato d'animo. Questo è molto importante, perché è angosciante soffrire senza sapere di che cosa, così come suicidarsi perché l'angoscia non conosce il percorso dei sentimenti e il loro approdo, che un tempo i miti descrivevano, e oggi la letteratura descrive.

À bientôt

Partire è un po' morire. Ma allora forse tornare è un po' rinascere - e io torno tra tre settimane. Se lo portassi, sarebbe il lutto più breve della storia.

Ci sono cose che non mi piacciono a Losanna. Ma ce ne sono altre che mi piacciono molto, invece (e per fortuna).

Più mi tutto mi piace che sono qui da nemmeno un mese, e già un po' mi sono ambientata. E ho (ri)dimostrato a me stessa che sono misantropa sì, ma non sociopatica (c'è un limite a tutto). E tornare qui in settembre, e conoscere già qualcuno, mi fa sentire accolta e non sbarcata sulla Luna.

Camminare sotto il sole, e scalare la città.
Il vento e la pioggia che dura nemmeno dieci minuti, il tempo di lavarti la maglietta (bianca).
Hamburger crassi con patatine e maionese, birra in bicchieri di plastica, e poi tutti accampati sulle scale come a un grande bottellon.
Barbecue casuali, e birra ignorante.
Francese ancora più casuale, e ancora più ignorante.
ECHECATZO.
Gente che esce di casa anche in pigiama, e nessuno che lo trova strano.
Dolci ipercalorici (vi aspetto al varco insieme all'inverno).
Place de la Riponne (con l'angolo dei tossici).
Starbucks.
Parlare tutte le lingue del mondo e ciascuno la propria, e capirsi comunque.
Procedere per luoghi comuni.
Sconvolgere i luoghi comuni anche solo per il gusto di farlo.
Nel dubbio, ritrovarsi al Great Escape.
Finire a vedere dei film intellettuali, in sale misconosciute, con "ehi, ma quanti siete stasera" in una sala con una decina di persone.
Darsi appuntamento tra un mese come se fosse tra due ore.

E poi un numero spropositato di gente sposata. C'è così tanto amore in Svizzera?

Altre cose che abbondano: parrucchieri, ongleries, gente che gira in monopattino (ma è la cosa più sfiancante del mondo!), caffè troppo lunghi per essere ristretti, gentilezza, cliché ("J'adore l'italien!J'adore l'Italie!" Singing people all over the world), anche se non si capisce bene perché.

Ora scusatemi, ho un rendez-vous (com'è incredibilmente francese e cool dirlo!) davanti a un caffè e una fetta di dolce, e a un bel po' di gossip (che, quello, non manca mai nemmeno oltralpe).

lunedì 15 agosto 2011

Ti rendi conto di essere italiana quando è Ferragosto e ti vien voglia di grigliare.

Le radici italiane riemergono prepotentemente quando è Ferragosto, sei da sola in un Paese che non conosci e che non festeggia la sacra festa del 15 Agosto, piove, corricchi su Pont Chauderon per arrivare alla fermata, e pensi che in fondo si potrebbe grigliare qualcosa. Tipo il gatto che si è infilato sotto il tuo letto e si è rifiutato di uscire, nonostante spendessi venti preziosi minuti a cercare di convincerlo. Poi pensi ai quaranta gradi all'ombra di casa, amici che organizzano riunioni mangerecce/beverecce, parentame che festeggia a caso, griglie sfrigolanti, birra fredda... ferma là, nuvolabarocca, non sarà nostalgia questa?

Accadde un Ferragosto (svizzero).

Ormai perfettamente collaudata dopo una settimana, mi sveglio-aspettochelasvegliarisuoni-spengolasveglia-alzo-lavo-colaziono-provvedoaigatti-vesto-esco in un'ora. Nell'aprire la porta della camera, un gatto si infila sotto il mio letto. Dopo venti minuti è ancora lì, lascio una richiesta di aiuto a V. sul frigo, e scappo.

Piove. Anche sotto il mio ombrello.

Il primo bus è troppo pieno. Il secondo idem ma salgo lo stesso.
Maledizioni contro gli svizzeri che a) non festeggiano Ferragosto b) non sono così precisi nei trasporti come vorrebbero far credere c) si approfittano (pure loro!) dell'intimità pendolare della mattina per il giochino della mano morta.

Alle 9 quasi .15 sono puntualissima in Università. Ha smesso di piovere, ovviamente.

Mi lamento che dovrei studiare di più, francese e altro, ma poi non mi applico. Come al solito.

Celebro il mio Ferragosto nell'unico modo che posso, andando in giro a perdere tempo il pomeriggio, sotto il sole che brucia (anche se poi, inspiegabilmente, torna la pioggia per dieci minuti). Chiacchiero seduta a un tavolino colorato con vista sui tetti, il sentimento è un po' ma-cosa-ci-faccio-qui, però bello.

La ricerca di una casa offre ancora nuove emozioni. Sembravamo diretti a un happy end, ora comincia l'ansia. E l'incubo burocratico.

La ricerca di una casa offre ancora nuove emozioni #2. Ricevere un messaggio che "Tu veux quand meme passer? Ou faire un tour à Lausanne?" da un tizio mai visto, salvato in rubrica come "Studio à Tivoli".

Pensare di cucinare con giudizio, e finire ad abboffarsi di roba fredda mescolata e altra che non dovrebbe mai essere stata scaldata, non in quel modo.

Mamma è a casa! Si occuperà lei dell'incubo burocratico, ora? (No. Niente più dormire sul sedile posteriore dell'auto, mentre mamma e papà pensano a tutto. Tienimi la mano, ciccio). (La parentesi precedente, per chi non ci fosse arrivato, è una citazione più o meno accurata di una striscia dei Peanuts).

Parlare su skype. Scherzare, e poi finire ad affrontare non si sa come i grandi temi della vita. Non sono pronta. Non sono pronta per la vita vera, ma lei è già qui.

E com'è andata la Festa di Mezz'Estate all'Isola dei Gabbiani? Faceva la ruota, la gonna di Karin? Hanno fatto il bagno vestiti, Pelle e Melina? (Ma è successo tutto da solo!) Sai cosa, zio Melker? Ci dobbiamo andare. Ci dobbiamo andare sul serio, prima di Prisca e Ginevra. Poi, quando sarà tempo, anche con loro.

domenica 14 agosto 2011

Musique du matin dimanche

Losanna è tranquilla la domenica mattina.
Ti fa svegliare con le nuvole, così non ti costringe a pensare "potrei togliermi il pigiama e andare a fare un giro".

Da qui vedo i tetti, il lago e le montagne. E il sole, che è arrivato a scaldare le strade, perché senza sole non è domenica.

Domenica è attesa: del lunedì, della conferma per l'alloggio, della spesa dell'indomani (me la prendo, una marmellata di ciliegie? Ho bisogno di dolce, ma non finirò col nausearmi?), del pranzo (non ne ho veramente voglia), delle pulizie (ancora un'oretta di dolce far nulla).

La domenica prima di Ferragosto è silenziosa a Losanna. Qualche macchina e qualche voce (e i miagolii alla finestra a svegliarti da sogni confusi).

Nello zaino ho una foto che vira all'azzurro. Non ho bisogno di guardarla ancora per ricordarmela.
Miss you, guys.

(Cosa fate ora? Organizzate qualcosa per domani? Qui in Elvezia manco festeggiano, vorrei essere lì a grigliare con voi!)

*

Mi stiracchio nella mia deliziosa solitudine (V. è al lavoro, C. a Parigi, i gatti hanno mangiato e mi lasciano in pace).

French toast?